 |

|
|
- O si sarà buttato sul letto per far un sonnellino, - soggiunse un
altro, ridendo più forte che mai. Da quelle risposte sconclusionate e da
quelle risatacce grulle, Pinocchio capì che i suoi compagni gli avevano
fatto una brutta celia, dandogli ad intendere una cosa che non era vera;
e pigliandosela a male, disse a loro con voce di bizza: - E ora? che
sugo ci avete trovato a darmi ad intendere la storiella del Pesce-cane?
- Il sugo c'è sicuro!... - risposero in coro quei monelli .
- E sarebbe?... - Quello di farti perdere la scuola e di farti venire
con noi. Non ti vergogni a mostrarti tutti i giorni così preciso e così
diligente alle lezioni? Non ti vergogni a studiar tanto, come fai? - E
se io studio, che cosa ve ne importa?
- A noi ce ne importa moltissimo perché ci costringi a fare una brutta
figura col maestro... - Perché? - Perché gli scolarì che studiano fanno
sempre scomparire quelli, come noi, che non hanno voglia di studiare. E
noi non vogliamo scomparire! Anche noi abbiamo il nostro amor
proprio!...
- E allora che cosa devo fare per contentarvi?
- Devi prendere a noia, anche tu, la scuola, la lezione e il maestro,
che sono i nostri tre grandi nemici. - E se io volessi seguitare a
studiare?
- Noi non ti guarderemo più in faccia, e alla prima occasione ce la
pagherai!...
- In verità mi fate quasi ridere, - disse il burattino con una
scrollatina di capo.
- Ehi, Pinocchio! - gridò allora il più grande di quei ragazzi,
andandogli sul viso. - Non venir qui a fare lo smargiasso: non venir qui
a far tanto il galletto!... perché se tu non hai paura di noi, noi non
abbiamo paura di te! Ricordati che tu sei solo e noi siamo in sette. -
Sette come i peccati mortali, - disse Pinocchio con una gran risata. -
Avete sentito? Ci ha insultati tutti! Ci ha chiamati col nome di peccati
mortali!... - Pinocchio! chiedici scusa dell'offesa... se no, guai a
te!... |
|
- Cucù! - fece il burattino, battendosi coll'indice sulla punta del
naso, in segno di canzonatura. - Pinocchio! la finisce male!... - Cucù!
- Ne toccherai quanto un somaro!...
- Cucù! - Ritornerai a casa col naso rotto!... - Cucù!
- Ora il cucù te lo darò io! - gridò il più ardito di quei monelli. -
Prendi intanto quest'acconto e serbalo per la cena di stasera. E nel dir
così gli appiccicò un pugno sul capo. Ma fu, come si suol dire, botta e
risposta; perché il burattino, come c'era da aspettarselo, rispose con
un altro pugno: |
|
e lì, da un momento all'altro, il combattimento diventò generale e
accanito. Pinocchio, sebbene fosse solo, si difendeva come un eroe. Con
quei suoi piedi di legno durissimo lavorava così bene, da tener sempre i
suoi nemici a rispettosa distanza. Dove i suoi piedi potevano arrivare e
toccare, ci lasciavano sempre un livido per ricordo.
Allora i ragazzi, indispettiti di non potersi misurare col burattino a
corpo a corpo, pensarono bene di metter mano ai proiettili, e sciolti i
fagotti de' loro libri di scuola, cominciarono a scagliare contro di lui
i Sillabari, le Grammatiche, i Giannettini, i Minuzzoli, i Racconti del
Thouar, il Pulcino della Baccini e altri libri scolastici: ma il
burattino, che era d'occhio svelto e ammalizzito, faceva sempre civetta
a tempo, sicché i volumi, passandogli di sopra al capo, andavano tutti a
cascare nel mare.
Figuratevi i pesci! I pesci, credendo che quei libri fossero roba da
mangiare, correvano a frotte a fior d'acqua; ma dopo avere abboccata
qualche pagina o qualche frontespizio, la risputavano subito facendo con
la bocca una certa smorfia, che pareva volesse dire: « Non è roba per
noi: noi siamo avvezzi a cibarci molto meglio! »
Intanto il combattimento s'inferociva sempre più, quand'ecco che un
grosso Granchio, che era uscito fuori dell'acqua e s'era adagio adagio
arrampicato fin sulla spiaggia, gridò con una vociaccia di trombone
infreddato:
- Smettetela, birichini che non siete altro! Queste guerre manesche fra
ragazzi e ragazzi raramente vanno a finir bene. Qualche disgrazia accade
sempre! ...
Povero Granchio! Fu lo stesso che avesse predicato al vento. Anzi quella
birba di Pinocchio, vol tandosi indietro a guardarlo in cagnesco, gli
disse sgarbatamente:
- Chétati, Granchio dell'uggia!... Faresti meglio a succiare due
pasticche di lichene per guarire da codesta infreddatura di gola. Vai
piuttosto a letto e cerca di sudare!
In quel frattempo i ragazzi, che avevano finito oramai di tirare tutti i
loro libri, occhiarono lì a poca distanza il fagotto dei libri del
burattino, |
e se ne impadronirono in men
che non si dice. Fra questi libri, v'era un volume rilegato in
cartoncino grosso, colla costola e colle punte di cartapecora. Era un
Trattato di Aritmetica. Vi lascio immaginare se era peso dimolto! Uno di
quei monelli agguantò quel volume e, presa di mira la testa di
Pinocchio, lo scagliò con quanta forza aveva nel braccio: ma invece di
cogliere il burattino, colse nella testa uno dei compagni; il quale
diventò bianco come un panno lavato, e non disse altro che queste
parole:
- O mamma mia, aiutatemi... |
|
|
perché muoio! Poi cadde disteso sulla rena del lido.
Alla vista di quel morticino, i ragazzi spaventati si dettero a scappare
a gambe e in pochi minuti non si videro più. Ma Pinocchio rimase lì, e
sebbene per il dolore e per lo spavento, anche lui fosse più morto che
vivo, nondimeno corse a inzuppare il suo fazzoletto nell'acqua del mare
e si pose a bagnare la tempia del suo povero compagno di scuola. E
intanto piangendo dirottamente e disperandosi, lo chiamava per nome e
gli diceva: - Eugenio!... povero Eugenio mio!... apri gli occhi, e
guardami!... Perché non mi rispondi? Non sono stato io, sai, che ti ho
fatto tanto male! Credilo, non sono stato io!... Apri gli occhi,
Eugenio... Se tieni gli occhi chiusi, mi farai morire anche me... O Dio
mio! come farò ora a tornare a casa?... Con che coraggio potrò
presentarmi alla mia buona mamma? Che sarà di me?... Dove fuggirò?...
Dove andrò a nascondermi?... Oh! quant'era meglio, mille volte meglio
che fossi andato a scuola!... Perche ho dato retta a questi compagni,
che sono la mia dannazione?... E il maestro me l'aveva detto!... e la
mia mamma me lo aveva ripetuto: "Guàrdati dai cattivi compagni!"-. Ma io
sono un testardo... un caparbiaccio... lascio dir tutti, e poi fo sempre
a modo mio!... E dopo mi tocca a scontarle... E così, da che sono al
mondo, non ho mai avuto un quarto d'ora di bene. Dio mio! Che sarà di
me, che sarà di me, che sarà di me?... E Pinocchio continuava a
piangere, e berciare, a darsi pugni nel capo e a chiamar per nome il
povero Eugenio: quando sentì a un tratto un rumore sordo di passi che si
avvicinavano. Si voltò: erano due carabinieri
- Che cosa fai così sdraiato per terra? - domandarono a Pinocchio.
- Assisto questo mio compagno di scuola. - Che gli è venuto male?
- Par di sì!.. - Altro che male! - disse uno dei carabinieri, chinandosi
e osservando Eugenio da vicino. - Questo ragazzo è stato ferito in una
tempia: chi è che l'ha ferito?
- Io no, - balbettò il burattino che non aveva più fiato in corpo.
- Se non sei stato tu, chi è stato dunque che l'ha ferito? - Io no, -
ripeté Pinocchio.
- E con che cosa è stato ferito? - Con questo libro. - E il burattino
raccattò di terra il Trattato di Aritmetica, rilegato in cartone e
cartapecora, per mostrarlo al carabiniere.
- E questo libro di chi è? - Mio. - Basta così: non occorre altro.
Rizzati subito e vieni via con noi. - Ma io... - Via con noi! - Ma io
sono innocente... - Via con noi!
Prima di partire, i carabinieri chiamarono alcuni pescatori, che in quel
momento passavano per l'appunto colla loro barca vicino alla spiaggia, e
dissero loro:
- Vi affidiamo questo ragazzetto ferito nel capo. Portatelo a casa
vostra e assistetelo. Domani torneremo a vederlo. Quindi si volsero a
Pinocchio, e dopo averlo messo in mezzo a loro due, gl'intimarono con
accento soldatesco:
- Avanti! e cammina spedito! se no, peggio per te! Senza farselo
ripetere, il burattino cominciò a camminare per quella viottola, che
conduceva al paese. Ma il povero diavolo non sapeva più nemmeno lui in
che mondo si fosse. Gli pareva di sognare, e che brutto sogno! Era fuori
di sé. I suoi occhi vedevano tutto doppio: le gambe gli tremavano: la
lingua gli era rimasta attaccata al palato e non poteva più spiccicare
una sola parola. Eppure, in mezzo a quella specie di stupidità e di
rintontimento, una spina acutissima gli bucava il cuore: il pensiero,
cioè, di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata,
in mezzo ai carabinieri. Avrebbe preferito piuttosto di morire. Erano
già arrivati e stavano per entrare in paese, quando una folata di vento
strapazzone levò di testa a Pinocchio il berretto, portandoglielo
lontano una decina di passi. - Si contentano, - disse il burattino ai
carabinieri, - che vada a riprendere il mio berretto? - Vai pure: ma
facciamo una cosa lesta.
Il burattino andò, raccattò il berretto... ma invece di metterselo in
capo, se lo mise in bocca fra i denti, e poi cominciò a correre di gran
carriera verso la spiaggia del mare. Andava via come una palla di
fucile. I carabinieri, giudicando che fosse difficile raggiungerlo, gli
aizzarono dietro un grosso cane ma stino, che aveva guadagnato il primo
premio in tutte le corse dei cani. Pinocchio correva, e il cane correva
più di lui: per cui tutta la gente si affacciava alle finestre e si
affollava in mezzo alla strada, ansiosa di veder la fine di questo palio
feroce.
Ma non poté levarsi questa voglia, perché il cane mastino e Pinocchio
sollevarono lungo la strada un tal polverone, che dopo pochi minuti non
fu più possibile di veder nulla.
 |
|
Pinocchio corre pericolo di essere fritto in
padella come un pesce.
Durante quella corsa disperata, vi fu un momento terribile, un momento
in cui Pinocchio si credé perduto: perché bisogna sapere che Alidoro
(era questo il nome del can-mastino) a furia di correre e correre,
l'aveva quasi raggiunto.
Basti dire che il burattino sentiva dietro di sé, alla distanza d'un
palmo, l'ansare affannoso di quella bestiaccia e ne sentiva perfino la
vampa calda delle fiatate. Per buona fortuna la spiaggia era oramai
vicina e il mare si vedeva lì a pochi passi. Appena fu sulla spiaggia,
il burattino spiccò un bellissimo salto, come avrebbe potuto fare un
ranocchio, e andò a cascare in mezzo all'acqua. Alidoro invece voleva
fermarsi; ma trasportato dall'impeto della corsa, entrò nell'acqua anche
lui. E quel disgraziato non sapeva nuotare; per cui cominciò subito ad
annaspare colle zampe per reggersi a galla: ma più annaspava e più
andava col capo sott'acqua. |
|
Quando torno a rimettere il capo fuori, il povero cane aveva gli occhi
impauriti e stralunati, e, abbaiando, gridava. - Affogo! Affogo! -
Crepa! - gli rispose Pinocchio da lontano, il quale si vedeva oramai
sicuro da ogni pericolo. - Aiutami, Pinocchio mio!... salvami dalla
morte!... A quelle grida strazianti, il burattino, che in fondo aveva un
cuore eccellente, si mosse a compassione, e voltosi al cane gli disse: -
Ma se io ti aiuto a salvarti, mi prometti di non darmi più noia e di non
corrermi dietro? - Te lo prometto! te lo prometto! Spicciati per carità,
perché se indugi un altro mezzo minuto, son bell'e morto.
Pinocchio esitò un poco: ma poi ricordandosi che il suo babbo gli aveva
detto tante volte che a fare una buona azione non ci si scapita mai,
andò nuotando a raggiungere Alidoro, e, presolo per la coda con tutte e
due le mani, lo portò sano e salvo sulla rena asciutta del lido. Il
povero cane non si reggeva più in piedi. Aveva bevuto, senza volerlo,
tant'acqua salata, che era gonfiato come un pallone. Per altro il
burattino, non volendo fare a fidarsi troppo, stimò cosa prudente di
gettarsi novamente in mare; e, allontanandosi dalla spiaggia, gridò
all'amico salvato: - Addio, Alidoro, fai buon viaggio e tanti saluti a
casa. - Addio, Pinocchio, - rispose il cane; - mille grazie di avermi
liberato dalla morte. Tu mi hai fatto un gran servizio: e in questo
mondo quel che è fatto è reso. Se càpita l'occasione, ci riparleremo.
Pinocchio seguitò a nuotare, tenendosi sempre vicino alla terra.
Finalmente gli parve di esser giunto in un luogo sicuro; e dando un
occhiata alla spiaggia, vide sugli scogli una specie di grotta, dalla
quale usciva un lunghissimo pennacchio di fumo. - In quella grotta, -
disse allora fra sé, - ci deve essere del fuoco. Tanto meglio! Anderò a
rasciugarmi e a riscaldarmi, e poi?... e poi sarà quel che sarà.
Presa questa risoluzione, si avvicinò alla scogliera; ma quando fu lì
per arrampicarsi, sentì qualche cosa sotto l'acqua che saliva, saliva,
saliva e lo portava per aria. Tentò subito di fuggire, ma oramai era
tardi, perché con sua grandissima maraviglia si trovò rinchiuso dentro a
una grossa rete in mezzo a un brulichio di pesci d'ogni forma e
grandezza, che scodinzolando e si dibattevano come tant'anime disperate. |
E nel tempo stesso vide uscire
dalla grotta un pescatore così brutto, ma tanto brutto, che pareva un
mostro marino. Invece di capelli aveva sulla testa un cespuglio
foltissimo di erba verde; verde era la pelle del suo corpo, verdi gli
occhi, verde la barba lunghissima, che gli scendeva fin quaggiù. Pareva
un grosso ramarro ritto su i piedi di dietro.
Quando il pescatore ebbe tirata fuori la rete dal mare, gridò tutto
contento:
- Provvidenza benedetta! Anch'oggi potrò fare una bella scorpacciata di
pesce!
- Manco male, che io non sono un pesce! - disse Pinocchio dentro di sé,
ripigliando un po' di coraggio. La rete piena di pesci fu portata dentro
la grotta, una grotta buia e affumicata, in mezzo alla quale friggeva
una gran padella d'olio, che mandava un odorino di moccolaia da mozzare
il respiro. |
|
|
|
- Ora vediamo un po' che pesci abbiamo presi!
- disse il pescatore verde; e ficcando nella rete una manona così
spropositata, che pareva una pala da fornai, tirò fuori una manciata di
triglie.
- Buone queste triglie! - disse, guardandole e annusandole con
compiacenza. E dopo averle annusate, le scaraventò in una conca
senz'acqua.
Poi ripeté più volte la solita operazione; e via via che cavava fuori
gli altri pesci, sentiva venirsi l'acquolina in bocca e gongolando
diceva: - Buoni questi naselli!...
- Squisiti questi muggini!... - Deliziose queste sogliole!... -
Prelibati questi ragnotti!...
- Carine queste acciughe col capo!... Come potete immaginarvelo, i
naselli, i muggini, le sogliole, i ragnotti e le acciughe, andarono
tutti alla rinfusa nella conca, a tener compagnia alle triglie. L'ultimo
che restò nella rete fu Pinocchio.
Appena il pescatore l'ebbe cavato fuori, sgranò dalla maraviglia i suoi
occhioni verdi, gridando quasi impaurito: - Che razza di pesce è questo?
Dei pesci fatti a questo modo non mi ricordo di averne mai mangiati! E
tornò a guardarlo attentamente, e dopo averlo guardato ben bene per ogni
verso, finì col dire: - Ho già capito: dev'essere un granchio di mare.
Allora Pinocchio mortificato di sentirsi scambiare per un granchio,
disse con accento risentito: - Ma che granchio e non granchio? Guardi
come lei mi tratta! Io per sua regola sono un burattino. - Un burattino?
- replicò il pescatore. - Dico la verità, il pesce burattino è per me un
pesce nuovo! Meglio così! ti mangerò più volentieri.
- Mangiarmi? ma la vuol capire che io non sono un pesce? O non sente che
parlo, e ragiono come lei? - È verissimo, - soggiunse il pescatore, - e
siccome vedo che sei un pesce, che hai la fortuna di parlare e di
ragionare, come me, così voglio usarti anch'io i dovuti riguardi. - E
questi riguardi sarebbero?... - In segno di amicizia e di stima
particolare, lascerò a te la scelta del come vuoi essere cucinato.
Desideri essere fritto in padella, oppure preferisci di essere cotto nel
tegame colla salsa di pomidoro?
- A dir la verità, - rispose Pinocchio, - se io debbo scegliere,
preferisco piuttosto di essere lasciato libero, per potermene tornare a
casa mia.
- Tu scherzi? Ti pare che io voglia perdere l'occasione di assaggiare un
pesce così raro? Non capita mica tutti i giorni un pesce burattino in
questi mari. Lascia fare a me: ti friggerò in padella assieme a tutti
gli altri pesci, e te ne troverai contento. L'esser fritto in compagnia
è sempre una consolazione. L'infelice Pinocchio, a quest'antifona,
cominciò a piangere, a strillare, a raccomandarsi e piangendo diceva: -
Quant'era meglio, che fossi andato a scuola!... Ho voluto dar retta ai
compagni, e ora la pago! Ih!... Ih!... Ih!...
E perché si divincolava come un anguilla e faceva sforzi incredibili,
per isgusciare dalle grinfie del pescatore verde, questi prese una bella
buccia di giunco, e dopo averlo legato per le mani e per i piedi, come
un salame, lo gettò in fondo alla conca cogli altri.
Poi, tirato fuori un vassoiaccio di legno, pieno di farina, si dette a
infarinare tutti quei pesci; e man mano che li aveva infarinati, li
buttava a friggere dentro la padella.
I primi a ballare nell'olio bollente furono i poveri naselli: poi toccò
ai ragnotti, poi ai muggini, poi alle sogliole e alle acciughe, e poi
venne la volta di Pinocchio. Il quale a vedersi così vicino alla morte
(e che brutta morte!) fu preso da tanto tremito e da tanto spavento, che
non aveva più né voce né fiato per raccomandarsi.
Il povero figliuolo si raccomandava cogli occhi!
Ma il pescatore verde, senza badarlo neppure, lo avvoltolò cinque o sei
volte nella farina, infarinandolo così bene dal capo ai piedi, che
pareva diventato un burattino di gesso.
Poi lo prese per il capo, e...
 |
« Dammi un boccon di frittura e ti lascio in pace ».
- Passa via, ti dico! - gli ripeté il pescatore; e allungò la gamba per
tirargli una pedata.
Allora il cane che, quando aveva fame davvero, non era avvezzo a
lasciarsi posar mosche sul naso, si rivoltò ringhioso al pescatore,
mostrandogli le sue terribili zanne.
In quel mentre si udì nella grotta una vocina fioca fioca, che disse:
- Salvami, Alidoro!... Se non mi salvi, son fritto!
Il cane riconobbe subito la voce di Pinocchio e si accorse con sua
grandissima maraviglia che la vocina era uscita da quel fagotto
infarinato che il pescatore teneva in mano.
Allora che cosa fa? Spicca un gran lancio da terra, abbocca quel fagotto
infarinato e tenendolo leggermente coi denti, esce correndo dalla
grotta, e via come un baleno!
Il pescatore, arrabbiatissimo di vedersi strappar di mano un pesce, che
egli avrebbe mangiato tanto volentieri, si provò a rincorrere il cane;
ma fatti pochi passi, gli venne un nodo di tosse e dové tornarsene
indietro. Intanto Alidoro, ritrovata che ebbe la viottola che conduceva
al paese, si fermò e posò delicatamente in terra l'amico Pinocchio.
- Quanto ti debbo ringraziare! - disse il burattino. - Non c'è bisogno,
- replicò il cane. - Tu salvasti me, e quel che è fatto, è reso. Si sa:
in questo mondo bisogna tutti aiutarsi l'uno coll'altro. - Ma come mai
sei capitato in quella grotta?
- Ero sempre qui disteso sulla spiaggia più morto che vivo, quando il
vento mi ha portato da lontano un odorino di frittura. Quell'odorino mi
ha stuzzicato l'appetito, e io gli sono andato dietro. Se arrivavo un
minuto più tardi!...
- Non me lo dire! - urlò Pinocchio che tremava ancora dalla paura. - Non
me lo dire! Se tu arrivavi un minuto più tardi, a quest'ora io ero bell'e
fritto, mangiato e digerito. Brrr!... mi vengono i brividi soltanto a
pensarvi!... Alidoro, ridendo, stese la zampa destra verso il burattino,
il quale gliela strinse forte forte in segno di grande amicizia: e dopo
si lasciarono. Il cane riprese la strada di casa: |
e Pinocchio, rimasto solo, andò a una capanna lì poco distante, e domandò
a un vecchietto che stava sulla porta a scaldarsi al sole: - Dite,
galantuomo, sapete nulla di un povero ragazzo ferito nel capo e che si
chiamava Eugenio?... - Il ragazzo è stato portato da alcuni pescatori in
questa capanna, e ora... Ora sarà morto!... - interruppe Pinocchio con
gran dolore. - No: ora è vivo, ed è già ritornato a casa sua. - Davvero,
davvero? - gridò il burattino, saltando dall'allegrezza. - Dunque la
ferita non era grave?
- Ma poteva riuscire gravissima e anche mortale, - rispose il
vecchietto, - perché gli tirarono sul capo un grosso libro rilegato in
cartone. - E chi glielo tirò? - Un suo compagno di scuola: un certo
Pinocchio... - E chi è questo Pinocchio? - domandò il burattino facendo
lo gnorri.
- Dicono che sia un ragazzaccio, un vagabondo. un vero rompicollo... -
Calunnie! Tutte calunnie! - Lo conosci tu questo Pinocchio? - Di vista!
- rispose il burattino. - E tu che concetto ne hai? - gli chiese il
vecchietto.
- A me mi pare un gran buon figliuolo, pieno di voglia di studiare,
ubbidiente, affezionato al suo babbo e alla sua famiglia... Mentre il
burattino sfilava a faccia fresca tutte queste bugie, si toccò il naso e
si accorse che il naso gli s'era allungato più d'un palmo. Allora tutto
impaurito cominciò a gridare: - Non date retta, galantuomo, a tutto il
bene che ve ne ho detto: perché conosco benissimo Pinocchio e posso
assicurarvi anch'io che è davvero un ragazzaccio, un disubbidiente e uno
svogliato, che invece di andare a scuola, va coi compagni a fare lo
sbarazzino! Appena ebbe pronunziate queste parole, |
|
|
il suo naso raccorcì e tornò della grandezza naturale, come era prima.
- E perché sei tutto bianco a codesto modo? - gli domandò a un tratto il
vecchietto.
- Vi dirò... senza avvedermene, mi sono strofinato a un muro, che era
imbiancato di fresco, - rispose il burattino, vergognandosi a confessare
che lo avevano infarinato come un pesce, per poi friggerlo in padella. -
O della tua giacchetta, de' tuoi calzoncini e del tuo berretto che cosa
ne hai fatto? - Ho incontrato i ladri e mi hanno spogliato.
Dite, buon vecchio, non avreste per caso da darmi un po' di vestituccio,
tanto perché io possa ritornare a casa? - Ragazzo mio, in fatto di
vestiti, io non ho che un piccolo sacchetto, dove ci tengo i lupini. Se
vuoi, piglialo: eccolo là.
E Pinocchio non se lo fece dire due volte: prese subito il sacchetto dei
lupini che era vuoto, e dopo averci fatto colle forbici una piccola buca
nel fondo e due buche dalle parti, se lo infilò a uso camicia. E vestito
leggerino a quel modo, si avviò verso il paese. Ma, lungo la strada, non
si sentiva punto tranquillo; tant'è vero che faceva un passo avanti e
uno indietro e, discorrendo da se solo, andava dicendo:
- Come farò a presentarmi alla mia buona Fatina? Che dirà quando mi
vedrà?... Vorrà perdonarmi questa seconda birichinata?... Scommetto che
non me la perdona!... oh! non me la perdona di certo... E mi sta il
dovere: perché io sono un monello che prometto sempre di correggermi, e
non mantengo mai! ... Arrivò al paese che era già notte buia, e perché
faceva tempaccio e l'acqua veniva giù a catinelle, andò diritto diritto
alla casa della Fata coll'animo risoluto di bussare alla porta e di
farsi aprire.
Ma, quando fu lì, sentì mancarsi il coraggio, e invece di bussare si
allontanò, correndo, una ventina di passi. Si avvicinò una seconda volta
alla porta, e non concluse nulla: si avvicinò una terza volta, e nulla:
la quarta volta prese, tremando, il battente di ferro in mano, e bussò
un piccolo colpettino. Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz'ora si
aprì una finestra dell'ultimo piano (la casa era di quattro piani) e
Pinocchio vide affacciarsi una grossa Lumaca, che aveva un lumicino
acceso sul capo, la quale disse:
- Chi è a quest'ora? - La Fata è in casa? - domandò il burattino. - La
Fata dorme e non vuol essere svegliata: ma tu chi sei? - Sono io! - Chi
io? |
|
- Pinocchio. - Chi Pinocchio? - Il burattino, quello che sta in casa colla
Fata. - Ah! ho capito, - disse la Lumaca. - Aspettami costì, che ora
scendo giù e ti apro subito.
- Spicciatevi, per carità, perché io muoio dal freddo. - Ragazzo mio, io
sono una lumaca, e le luma che non hanno mai fretta. Intanto passò
un'ora, ne passarono due, e la porta non si apriva: per cui Pinocchio,
che tremava dal freddo, dalla paura e dall'acqua che aveva addosso, si
fece cuore e bussò una seconda volta, e bussò più forte. A quel secondo
colpo si aprì una finestra del piano di sotto e si affacciò la solita
Lumaca.
- Lumachina bella, - gridò Pinocchio dalla strada, - sono due ore che
aspetto ! E due ore, a questa serataccia, diventano più lunghe di due
anni. Spicciatevi, per carità. - Ragazzo mio - gli rispose dalla
finestra quella bestiola tutta pace e tutta flemma, - ragazzo mio, io
sono una lumaca, e le lumache non hanno mai fretta. E la finestra si
richiuse. Di lì a poco suonò la mezzanotte: poi il tocco, poi le due
dopo mezzanotte, e la porta era sempre chiusa. Allora Pinocchio, perduta
la pazienza, afferrò con rabbia il battente della porta per bussare un
gran colpo da far rintronare tutto il casamento: ma il battente che era
di ferro,
|
|
diventò a un tratto un'anguilla viva, che sgusciandogli dalle mani sparì
nel rigagnolo d'acqua in mezzo alla strada.
- Ah, sì? - gridò Pinocchio sempre più accecato dalla collera. - Se il
battente è sparito, io seguiterò a bussare a furia di calci. E tiratosi
un poco indietro, lasciò andare una solennissima pedata nell'uscio della
casa. Il colpo fu così forte, che il piede penetrò nel legno fino a
mezzo: e quando il burattino si provò a ricavarlo fuori, fu tutta fatica
inutile: perché il piede c'era rimasto conficcato dentro, come un chiodo
ribadito.
Figuratevi il povero Pinocchio ! Dové passare tutto il resto della notte
con un piede in terra e con quell'altro per aria. La mattina, sul far
del giorno, finalmente la porta si aprì.
Quella brava bestiola della Lumaca, a scendere dal quarto piano fino
all'uscio di strada, ci aveva messo solamente nove ore. Bisogna proprio
dire che avesse fatto una sudata!
- Che cosa fate con codesto piede conficcato nell'uscio? - domandò
ridendo al burattino.
- È stata una disgrazia. Vedete un po', Lumachina bella, se vi riesce di
liberarmi da questo supplizio. - Ragazzo mio, così ci vuole un
legnaiolo, e io non ho mai fatto la legnaiola.
- Pregate la Fata da parte mia!... - La Fata dorme e non vuol essere
svegliata.
- Ma che cosa volete che io faccia inchiodato tutto il giorno a questa
porta?
- Divèrtiti a contare le formicole che passano per la strada.
- Portatemi almeno qualche cosa da mangiare, perché mi sento rifinito.
- Subito! - disse la Lumaca. Difatti dopo tre ore e mezzo Pinocchio la
vide tornare con un vassoio d'argento in capo. Nel vassoio c'era un
pane, un pollastro arrosto e quattro albicocche mature. - Ecco la
colazione che vi manda la Fata, - disse la Lumaca. Alla vista di quella
grazia di Dio, il burattino sentì consolarsi tutto. Ma quale fu il suo
disinganno, quando incominciando a mangiare, si dové accorgere che il
pane era di gesso, il pollastro di cartone e le quattro albicocche di
alabastro, colorite al naturale. Voleva piangere, voleva darsi alla
disperazione, voleva buttar via il vassoio e quel che c'era dentro: ma
invece, o fosse il gran dolore o la gran languidezza di stomaco, fatto
sta che cadde svenuto. Quando si riebbe, si trovò disteso sopra un sofà,
e la Fata era accanto a lui. - Anche per questa volta ti perdono, - gli
disse la Fata, - ma guai a te se me ne fai un'altra delle tue!...
Pinocchio promise e giurò che avrebbe studiato, e che si sarebbe
condotto sempre bene. E mantenne la parola per tutto il resto dell'anno.
Difatti, agli esami delle vacanze, ebbe l'onore di essere il più bravo
della scuola; e i suoi portamenti, in generale, furono giudicati così
lodevoli e soddisfacenti, che la Fata, tutta contenta, gli disse: -
Domani finalmente il tuo desiderio sarà appagato! - Cioè? - Domani
finirai di essere un burattino di legno, e diventerai un ragazzo
perbene.
Chi non ha veduto la gioia di Pinocchio, a questa notizia tanto
sospirata, non potrà mai figurarsela. Tutti i suoi amici e compagni di
scuola dovevano essere invitati per il giorno dopo a una gran colazione
in casa della Fata, per festeggiare insieme il grande avvenimento: e la
Fata aveva fatto preparare dugento tazze di caffè-e-latte e quattrocento
panini imburrati di sotto e di sopra. Quella giornata prometteva
d'essere molto bella e molto allegra, ma... Disgraziatamente, nella vita
dei burattini c'è sempre una ma, che sciupa ogni cosa.
 |
Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte
di nascosto col suo amico Lucignolo per il Paese dei Balocchi.
Com'è naturale, Pinocchio chiese subito alla Fata il permesso di
andare in giro per la città a fare gli inviti: e la Fata gli disse:
- Vai pure a invitare i tuoi compagni per la colazione di domani: ma
ricordati di tornare a casa prima che faccia notte. Hai capito?
- Fra un'ora prometto di essere bell'e ritornato, - replicò il
burattino.
- Bada, Pinocchio! I ragazzi fanno presto a promettere: ma il più delle
volte, fanno tardi a mantenere.
- Ma io non sono come gli altri: io, |
|
|
quando dico una cosa, la mantengo. - Vedremo. Caso poi tu disubbidissi,
tanto peggio per te. - Perché? - Perché i ragazzi che non dànno retta ai
consigli di chi ne sa più di loro, vanno sempre incontro a qualche
disgrazia. - E io l'ho provato! - disse Pinocchio. - Ma ora non ci
ricasco più! - Vedremo se dici il vero. Senza aggiungere altre parole,
il burattino salutò la sua buona Fata, che era per lui una specie di
mamma, e cantando e ballando uscì fuori della porta di casa. In poco più
d'un'ora, tutti i suoi amici furono invitati. Alcuni accettarono subito
e di gran cuore: altri da principio si fecero un po' pregare; ma quando
seppero che i panini da inzuppare nel caffè-e-latte sarebbero stati
imburrati anche dalla parte di fuori, finirono tutti col dire: « Verremo
anche noi, per farti piacere ».
Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola,
ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo:
ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo, per via del suo
personalino asciutto, secco e allampanato, tale e quale come il
lucignolo nuovo di un lumino da notte.
Lucignolo era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la
scuola: ma Pinocchio gli voleva un gran bene. Difatti andò subito a
cercarlo a casa, per invitarlo alla colazione, e non lo trovò: tornò una
seconda volta, e Lucignolo non c'era: tornò una terza volta, e fece la
strada invano. Dove poterlo ripescare? Cerca di qua, cerca di là,
finalmente lo vide nascosto sotto il portico di una casa di contadini. -
Che cosa fai costì? - gli domandò Pinocchio, avvicinandosi. - Aspetto la
mezzanotte, per partire... - Dove vai?
- Lontano, lontano, lontano! - E io che son venuto a cercarti a casa tre
volte!...
- Che cosa volevi da me? - Non sai il grande avvenimento? Non sai la
fortuna che mi è toccata? - Quale? - Domani finisco di essere un
burattino e divento un ragazzo come te, e come tutti gli altri. - Buon
pro ti faccia. - Domani, dunque, ti aspetto a colazione a casa mia. - Ma
se ti dico che parto questa sera. - A che ora? - Fra poco. - E dove vai?
- Vado ad abitare in un paese... che è il più bel paese di questo mondo:
una vera cuccagna!... - E come si chiama? - Si chiama il Paese dei
Balocchi. Perché non vieni anche tu? - Io? no davvero! - Hai torto,
Pinocchio! Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi
trovare un paese più salubre per noialtri ragazzi? lì non vi sono
scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese
benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni
settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figùrati che le
vacanze dell'autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll'ultimo
di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come
dovrebbero essere tutti i paesi civili!... - Ma come si passano le
giornate nel Paese dei Balocchi?
- Si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La
sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo. Che te
ne pare?
- Uhm!... - fece Pinocchio: e tentennò leggermente il capo, come dire: «
È una vita che farei volentieri anch'io! ». - Dunque, vuoi partire con
me? Sì o no? Risolviti.
- No, no, no e poi no. Oramai ho promesso alla mia buona Fata di
diventare un ragazzo perbene, e voglio mantenere la promessa. Anzi,
siccome vedo che il sole va sotto, così ti lascio subito e scappo via.
Dunque addio e buon viaggio. - Dove corri con tanta furia?
- A casa. La mia buona Fata vuole che ritorni prima di notte. - Aspetta
altri due minuti.
- Faccio troppo tardi. - Due minuti soli. - E se poi la Fata mi grida?
- Lasciala gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà, - disse
quella birba di Lucignolo. - E come fai? Parti solo o in compagnia? -
Solo? Saremo più di cento ragazzi.
- E il viaggio lo fate a piedi? - A mezzanotte passerà di qui il carro
che ci deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel
fortunatissimo paese. - Che cosa pagherei che ora fosse mezzanotte!... -
Perché? - Per vedervi partire tutti insieme. - Rimani qui un altro poco
e ci vedrai. - No, no: voglio ritornare a casa. - Aspetta altri due
minuti.
- Ho indugiato anche troppo. La Fata starà in pensiero per me. - Povera
Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli? - Ma dunque, -
soggiunse Pinocchio, - tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci
sono punte scuole?...
- Neanche l'ombra. - E nemmeno maestri?... - Nemmen'uno. - E non c'è mai
l'obbligo di studiare? - Mai, mai, mai! - Che bel paese! - disse
Pinocchio, sentendo venirsi l'acquolina in bocca. - Che bel paese! Io
non ci sono stato mai, ma me lo figuro!...
- Perché non vieni anche tu? - E inutile che tu mi tenti! Oramai ho
promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non
voglio mancare alla parola.
- Dunque addio, e salutami tanto le scuole ginnasiali!... e anche quelle
liceali, se le incontri per la strada. - Addio, Lucignolo: fai buon
viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici. Ciò detto, il
burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e
voltandosi all'amico, gli domandò: - Ma sei proprio sicuro che in quel
paese tutte le settimane sieno composte di sei giovedì e di una
domenica?
- Sicurissimo. - Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col
primo di gennaio e finiscano coll'ultimo di dicembre? - Di certissimo! -
Che bel paese! - ripeté Pinocchio, sputando dalla soverchia
consolazione. Poi, fatto un animo risoluto, soggiunse in fretta e furia:
- Dunque, addio davvero: e buon viaggio. - Addio. - Fra quanto
partirete?
- Fra due ore! - Peccato! Se alla partenza mancasse un'ora sola, sarei
quasi quasi capace di aspettare. - E la Fata?... - Oramai ho fatto
tardi!... e tornare a casa un'ora prima o un'ora dopo, è lo stesso. -
Povero Pinocchio! E se la Fata ti grida?
- Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si
cheterà.
Intanto si era ' già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro
muoversi in lontananza un lumicino... e sentirono un suono di bubboli e
uno squillo di trombetta, così piccolino e soffocato, che pareva il
sibilo di una zanzara! - Eccolo! - gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi.
- Chi è? - domandò sottovoce Pinocchio. - È il carro che viene a
prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no? - Ma è proprio vero, - domandò
il burattino, - che in quel paese i ragazzi non hanno mai l'obbligo di
studiare? - Mai, mai, mai!
- Che bel paese!... che bel paese!... che bel paese!...
 |
|
|

|
 |