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e vide benissimo a occhio nudo il bosco, dove disgraziatamente aveva
incontrato la Volpe e il Gatto: vide, fra mezzo agli alberi, inalzarsi
la cima di quella Quercia grande, alla quale era stato appeso ciondoloni
per il collo: ma guarda di qua, guarda di là, non gli fu possibile di
vedere la piccola casa della bella Bambina dai capelli turchini.
Allora ebbe una specie di tristo presentimento e datosi a correre con
quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trovò in pochi minuti sul
prato, dove sorgeva una volta la Casina bianca. Ma la Casina bianca non
c'era più. C'era, invece, una piccola pietra di marmo sulla quale si
leggevano in carattere stampatello queste dolorose parole: |
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QUI GIACE LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI MORTA DI DOLORE PER ESSERE
STATA ABBANDONATA DAL SUO FRATELLINO PINOCCHIO
Come rimanesse il burattino, quand'ebbe compitate alla peggio quelle
parole, lo lascio pensare a voi. Cadde bocconi a terra e coprendo di
mille baci quel marmo mortuario, dette in un grande scoppio di pianto.
Pianse tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva
sempre, sebbene negli occhi non avesse più lacrime: |
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e le sue grida e i suoi lamenti erano così strazianti e acuti, che tutte
le colline all'intorno ne ripetevano l'eco. E piangendo diceva: - O
Fatina mia, perché sei morta?... perché, invece di te, non sono morto
io, che sono tanto cattivo, mentre tu eri tanto buona?... E il mio
babbo, dove sarà? O Fatina mia, dimmi dove posso trovarlo, che voglio
stare sempre con lui, e non lasciarlo più! più! più!... O Fatina mia,
dimmi che non è vero che sei morta!... Se davvero mi vuoi bene... se
vuoi bene al tuo fratellino, rivivisci... ritorna viva come prima!...
Non ti dispiace a vedermi solo e abbandonato da tutti? Se arrivano gli
assassini. mi attaccheranno daccapo al ramo dell'albero... e allora
morirò per sempre. Che vuoi che faccia qui, solo in questo mondo? Ora
che ho perduto te e il mio babbo, chi mi darà da mangiare? Dove anderò a
dormire la notte? Chi mi farà la giacchettina nuova? |
Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che morissi anch'io! Sì, voglio
morire!... ih! ih! ih!...
E mentre si disperava a questo modo, fece l'atto di volersi strappare i
capelli: ma i suoi capelli, essendo di legno, non poté nemmeno levarsi
il gusto di ficcarci dentro le dita.
Intanto passò su per aria un grosso Colombo, il quale soffermatosi, a
ali distese, gli grìdò da una grande altezza: - Dimmi, bambino, che cosa
fai costaggiù?
- Non lo vedi? piango! - disse Pinocchio alzando il capo verso quella
voce e strofinandosi gli occhi colla manica della giacchetta. - Dimmi, -
soggiunse allora il Colombo - non conosci per caso fra i tuoi compagni,
un burattino, che ha nome Pinocchio?
- Pinocchio?... Hai detto Pinocchio? - ripeté il burattino saltando
subito in piedi. |
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- Pinocchio sono io! Il
Colombo, a questa risposta, si caiò velocemente e venne a posarsi a
terra. Era più grosso di un tacchino. - Conoscerai dunque anche Geppetto?
- domandò al burattino.
- Se lo conosco? È il mio povero babbo! ti ha forse parlato di me? Mi
conduci da lui? ma è sempre vivo? rispondimi per carità: è sempre vivo?
- L'ho lasciato tre giorni fa sulla spiaggia del mare. - Che cosa
faceva? - Si fabbricava da sé una piccola barchetta per traversare
l'Oceano. Quel pover'uomo sono più di quattro mesi che gira per il mondo
in cerca di te: e non avendoti potuto trovare, ora si è messo in capo di
cercarti nei paesi lontani del nuovo mondo. - Quanto c'è di qui alla
spiaggia? - domandò Pinocchio con ansia affannosa. - Più di mille
chilometri. - Mille chilometri? O Colombo mio, che bella cosa potessi
avere le tue ali!... - Se vuoi venire, ti ci porto io. - Come? |
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- A cavallo sulla mia groppa. Sei peso di molto?... - Peso? tutt'altro!
Son leggiero come una foglia. E lì, senza stare a dir altro, Pinocchio
saltò sulla groppa al Colombo e messa una gamba di qua e l'altra di là,
come fanno i cavallerizzi, gridò tutto contento: - Galoppa, galoppa,
cavallino, ché mi preme di arrivar presto!... Il Colombo prese l'aire e
in pochi minuti arrivò col volo tanto in alto, che toccava quasi le
nuvole. Giunto a quell'altezza straordinaria, il burattino ebbe la
curiosità di voltarsi in giù a guardare: |
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e fu preso da tanta paura e da tali giracapi che, per evitare il pericolo
di venir disotto, si avviticchiò colle braccia, stretto stretto, al
collo della sua piumata cavalcatura. Volarono tutto il giorno. Sul far
della sera, il Colombo disse: - Ho una gran sete! - E io una gran fame!
- soggiunse Pinocchio. - Fermiamoci a questa colombaia pochi minuti; e
dopo ci rimetteremo in viaggio, per essere domattina all'alba sulla
spiaggia del mare. Entrarono in una colombaia deserta, dove c'era
soltanto una catinella piena d'acqua e un cestino ricolmo di veccie.
Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto patire le
veccie: a sentir lui, gli facevano nausea, gli rivoltavano lo stomaco:
ma quella sera ne mangiò a strippapelle, e quando l'ebbe quasi finite,
si voltò al Colombo e gli disse:
- Non avrei mai creduto che le veccie fossero così buone!
- Bisogna persuadersi, ragazzo mio, - replicò il Colombo, - che quando
la fame dice davvero e non c'è altro da mangiare, anche le veccie
diventano squisite! La fame non ha capricci né ghiottonerie! Fatto alla
svelta un piccolo spuntino, si riposero in viaggio, e via! La mattina
dopo arrivarono sulla spiaggia del mare. Il Colombo posò a terra
Pinocchio, e non volendo nemmeno la seccatura di sentirsi ringraziare
per aver fatto una buona azione, riprese subito il volo e sparì. La
spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava guardando il mare.
- Che cos'è accaduto? - domandò Pinocchio a una vecchina. - Gli è
accaduto che un povero babbo, avendo perduto il figliolo, gli è voluto
entrare in una barchetta per andare a cercarlo di là dal mare; e il mare
oggi e molto cattivo e la barchetta sta per andare sott'acqua... - Dov'è
la barchetta?
- Eccola laggiù, diritta al mio dito, - disse la vecchia, accennando una
piccola barca che, veduta in quella distanza, pareva un guscio di noce
con dentro un omino piccino piccino.
Pinocchio appuntò gli occhi da quella parte, e dopo aver guardato
attentamente, cacciò un urlo acutissimo gridando: - Gli è il mi' babbo!
gli è il mi' babbo!
Intanto la barchetta, sbattuta dall'infuriare dell'onde, ora spariva fra
i grossi cavalloni, ora tornava a galleggiare: e Pinocchio ritto sulla
punta di un alto scoglio non finiva più dal chiamare il suo babbo per
nome e dal fargli molti segnali colle mani e col moccichino da naso e
perfino col berretto che aveva in capo. E parve che Geppetto, sebbene
fosse molto lontano dalla spiaggia, riconoscesse il figliuolo, perché si
levò il berretto anche lui e lo salutò e, a furia di gesti, gli fece
capire che sarebbe tornato volentieri indietro, ma il mare era tanto
grosso, che gl'impediva di lavorare col remo e di potersi avvicinare
alla terra. Tutt'a un tratto, venne una terribile ondata, e la barca
sparì.
Aspettarono che la barca tornasse a galla: ma la barca non si vide più
tornare.
- Pover'omo! - dissero allora i pescatori, che erano raccolti sulla
spiaggia: e brontolando sottovoce una preghiera si mossero per
tornarsene alle loro case.
Quand'ecco che udirono un urlo disperato, e, voltandosi indietro, videro
un ragazzetto che, di vetta a uno scoglio, si gettava in mare gridando:
- Voglio salvare il mio babbo! Pinocchio, essendo tutto di legno,
galleggiava facilmente e nuotava come un pesce. Ora si vedeva sparire
sott'acqua, portato dall'impeto dei flutti, ora riappariva fuori con una
gamba o con un braccio, a grandissima distanza dalla terra. Alla fine lo
persero d'occhio e non lo videro più.
- Povero ragazzo! - dissero allora i pescatori, che erano raccolti sulla
spiaggia: e brontolando sottovoce una preghiera tornarono alle loro
case.
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gli riuscì di vedere poco distante una lunga striscia di terra. Era
un'isola in mezzo al mare.
Allora fece di tutto per arrivare a quella spiaggia: ma inutilmente. Le
onde, rincorrendosi e accavallandosi, se lo abballottavano fra di loro,
come se fosse stato un fuscello o un filo di paglia. Alla fine, e per
sua buona fortuna, venne un'ondata tanto prepotente e impetuosa, che lo
scaraventò di peso sulla rena del lido.
Il colpo fu così forte che, battendo in. terra, gli crocchiarono tutte
le costole e tutte le congiunture: ma si consolò subito col dire: -
Anche per questa volta l'ho proprio scampata bella! Intanto a poco a
poco il cielo si rasserenò; il sole apparve fuori in tutto il suo
splendore e il mare diventò tranquillissimo e buono come un olio.
Allora il burattino distese i suoi panni al sole per rasciugarli e si
pose a guardare di qua e di là se per caso avesse potuto scorgere su
quella immensa spianata d'acqua una piccola barchetta con un omino
dentro. Ma dopo aver guardato ben bene, non vide altro dinanzi a sé che
cielo, mare e qualche vela di bastimento, ma così lontana, che pareva
una mosca. - Sapessi almeno come si chiama quest'isola! - andava
dicendo. - Sapessi almeno se quest'isola è abitata da gente di garbo,
voglio dire da gente che non abbia il vizio di attaccare i ragazzi ai
rami degli alberi; ma a chi mai posso domandarlo? a chi, se non c'è
nessuno?... Quest'idea di trovarsi solo, solo, solo in mezzo a quel gran
paese disabitato, gli messe addosso tanta malinconia, che stava li li
per piangere; quando tutt'a un tratto vide passare, a poca distanza
dalla riva, un grosso pesce, che se ne andava tranquillamente per i
fatti suoi, con tutta la testa fuori dell'acqua. |
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Non sapendo come chiamarlo per nome, il burattino gli gridò a voce alta,
per farsi sentire:
- Ehi, signor pesce, che mi permetterebbe una parola?
- Anche due, - rispose il pesce, il quale era un Delfino così garbato,
come se ne trovano pochi in tutti i mari del mondo. - Mi farebbe il
piacere di dirmi se in quest'isola vi sono dei paesi dove si possa
mangiare, senza pericolo d'esser mangiati?
- Ve ne sono sicuro, - rispose il Delfino. - Anzi, ne troverai uno poco
lontano di qui.
- E che strada si fa per andarvi? - Devi prendere quella viottola là, a
mancina, e camminare sempre diritto al naso. Non puoi sbagliare.
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- Mi dica un'altra cosa. Lei che passeggia tutto il giorno e tutta la
notte per il mare, non avrebbe incontrato per caso una piccola
barchettina con dentro il mi' babbo?
- E chi è il tuo babbo? - Gli è il babbo più buono del mondo, come io
sono il figliuolo più cattivo che si possa dare. - Colla burrasca che ha
fatto questa notte, - rispose il delfino, - la barchettina sarà andata
sott'acqua. - E il mio babbo?
- A quest'ora l'avrà inghiottito il terribile Pesce-cane, che da qualche
giorno è venuto a spargere lo sterminio e la desolazione nelle nostre
acque.
- Che è grosso di molto questo Pesce-cane? - domandò Pinocchio, che
digià cominciava a tremare dalla paura. - Se gli è grosso!... - replicò
il Delfino. - Perché tu possa fartene un'idea, ti dirò che è più grosso
di un casamento di cinque piani, ed ha una boccaccia così larga e
profonda, che ci passerebbe comodamente tutto il treno della strada
ferrata colla macchina accesa. - Mamma mia! - gridò spaventato il
burattino: e rivestitosi in fretta e furia, si voltò al delfino e gli
disse: - Arrivedella, signor pesce: scusi tanto l'incomodo e mille
grazie della sua garbatezza. Detto ciò, prese subito la viottola e
cominciò a camminare di un passo svelto; tanto svelto, che pareva quasi
che corresse. E a ogni più piccolo rumore che sentiva, si voltava subito
a guardare indietro, per la paura di vedersi inseguire da quel terribile
pesce-cane grosso come una casa di cinque piani e con un treno della
strada ferrata in bocca. Dopo mezz'ora di strada, arrivò a un piccolo
paese detto « Il paese delle Api industriose ». Le strade formicolavano
di persone che correvano di qua e di là per le loro faccende: tutti
lavoravano, tutti avevano qualche cosa da fare. |
Non si trovava un ozioso o un vagabondo nemmeno a cercarlo col lumicino. -
Ho capito, - disse subito quello svogliato di Pinocchio, - questo paese
non è fatto per me! Io non son nato per lavorare! Intanto la fame lo
tormentava, perché erano oramai passate ventiquattr'ore che non aveva
mangiato più nulla; nemmeno una pietanza di veccie. Che fare? Non gli
restavano che due modi per potersi sdigiunare: o chiedere un po' di
lavoro, o chiedere in elemosina un soldo o un boccone di pane.
A chiedere l'elemosina si vergognava: perché il suo babbo gli aveva
predicato sempre che l'elemosina hanno il diritto di chiederla solamente
i vecchi e gl'infermi. I veri poveri, in questo mondo, meritevoli di
assistenza e di compassione, non sono altro che quelli che, per ragione
d'età o di malattia, |
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si trovano condannati a non potersi più guadagnare il pane col lavoro
delle proprie mani. Tutti gli altri hanno l'obbligo di lavorare: e se
non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro.
In quel frattempo, passò per la strada un uomo tutto sudato e trafelato,
il quale da sé tirava con gran fatica due carretti carichi di carbone.
Pinocchio, giudicandolo dalla fisonomia per un buon uomo, gli si accostò
e, abbassando gli occhi dalla vergogna, gli disse sottovoce: - Mi
fareste la carità di darmi un soldo, perché mi sento morir dalla fame? -
Non un soldo solo, - rispose il carbonaio, - ma te ne do quattro, a
patto che tu m'aiuti a tirare fino a casa questi due carretti di
carbone.
- Mi meraviglio! - rispose il burattino quasi offeso, - per vostra
regola io non ho fatto mai il somaro: io non ho mai tirato il
carretto!... - Meglio per te! - rispose il carbonaio. - Allora, ragazzo
mio, se ti senti davvero morir dalla fame, mangia due belle fette della
tua superbia e bada di non prendere un'indigestione. Dopo pochi minuti
passò per la via un muratore, che portava sulle spalle un corbello di
calcina.
- Fareste, galantuomo, la carità d'un soldo a un povero ragazzo, che
sbadiglia dall'appetito? - Volentieri; vieni col me a portar calcina, -
rispose il muratore, - e invece d'un soldo, te ne darò cinque. - Ma la
calcina è pesa, - replicò Pinocchio, - e io non voglio durar fatica. -
Se non vuoi durar fatica, allora, ragazzo mio, - divertiti a
sbadigliare, e buon pro ti faccia. In men di mezz'ora passarono altre
venti persone, e a tutte Pinocchio chiese un po' d'elemosina, ma tutte
gli risposero: - Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la
strada, va' piuttosto a cercarti un po' di lavoro, e impara a
guadagnarti il pane! Finalmente passò una buona donnina che portava due
brocche d'acqua.
- Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d'acqua alla
vostra brocca? - disse Pinocchio, che bruciava dall'arsione della sete.
- Bevi pure, ragazzo mio! - disse la donnina, posando le due brocche in
terra.
Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò a mezza voce,
asciugandosi la bocca: - La sete me la sono levata! Così mi potessi
levar la fame!... La buona donnina, sentendo queste parole, soggiunse
subito: - Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d'acqua, ti
darò un bel pezzo di pane. Pinocchio guardò la brocca, e non rispose né
sì né no. - E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavolfiore
condito coll'olio e coll'aceto, - soggiunse la buona donna. Pinocchio
dette un'altra occhiata alla brocca, e non rispose né sì né no. - E dopo
il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio. - Alle
seduzioni di quest'ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più
resistere e, fatto un animo risoluto, disse: - Pazienza! Vi porterò la
brocca fino a casa!
La brocca era molto pesa, e il burattino, non avendo forza da portarla
colle mani, si rassegnò a portarla in capo. Arrivati a casa, la buona
donnina fece sedere Pinocchio a una piccola tavola apparecchiata e gli
pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto. Pinocchio non
mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e
disabitato da cinque mesi. Calmati a poco a poco i morsi rabbiosi della
fame, allora alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice; ma non
aveva ancora finito di fissarla in volto, che cacciò un lunghissimo ohhh!...
di maraviglia e rimase là incantato, cogli occhi spalancati, colla
forchetta per aria e colla bocca piena di pane e di cavolfiore.
- Che cos'è mai tutta questa maraviglia? - disse ridendo la buona donna.
- Egli è... - rispose balbettando Pinocchio, - egli è... egli è... che
voi somigliate... voi mi rammentate... sì, sì, sì, la stessa voce... gli
stessi occhi.. gli stessi capelli... sì, sì, sì... anche voi avete i
capelli turchini... come lei!... O Fatina mia!... O Fatina mia!...
ditemi che siete voi, proprio voi!... Non mi fate più piangere! Se
sapeste!... Ho pianto tanto, ho patito tanto.. E nel dir così, Pinocchio
piangeva dirottamente, e gettandosi ginocchioni per terra, abbracciava i
ginocchi di quella donnina misteriosa.
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Pinocchio promette alla Fata di essere buono e di
studiare, perché è stufo di fare il burattino e vuol diventare un bravo
ragazzo.
In sulle prime la buona donnina cominciò col dire che lei non era la
piccola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi oramai scoperta e
non volendo mandare più a lungo la commedia, fini col farsi riconoscere,
e disse a Pinocchio: - Birba d'un burattino! Come mai ti sei accorto che
era io?
- Gli è il gran bene che vi voglio quello che me l'ha detto. - Ti
ricordi? Mi lasciasti bambina e ora mi ritrovi donna; tanto donna, che
potrei quasi farti da mamma.
- L'ho caro dimolto, perché così, invece di sorellina, vi chiamerò la
mia mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come
tutti gli altri ragazzi!... Ma come avete fatto a crescere così presto?
- È un segreto. - Insegnatemelo: vorrei crescere un poco anch'io. Non lo
vedete? Sono sempre rimasto alto come un soldo di cacio.
- Ma tu non puoi crescere, - replicò la Fata. - Perché?
- Perché i burattini non crescono mai. Nascono burattini, vivono
burattini e muoiono burattini. - Oh! sono stufo di far sempre il
burattino! - gridò Pinocchio, dandosi uno scappellotto. - Sarebbe ora
che diventassi anch'io un uomo come tutti gli altri.
- E lo diventerai, se saprai meritartelo... - Davvero? E che posso fare
per meritarmelo?
- Una cosa facilissima: avvezzarti a essere un ragazzino perbene.
- O che forse non sono? - Tutt'altro! I ragazzi perbene sono ubbidienti,
e tu invece...
- E io non ubbidisco mai. - I ragazzi perbene prendono amore allo studio
e al lavoro, e tu... - E io, invece, faccio il bighellone e il vagabondo
tutto l'anno.
- I ragazzi perbene dicono sempre la verità... - E io sempre le bugie. -
I ragazzi perbene vanno volentieri alla scuola... - E a me la scuola mi
fa venire i dolori di corpo. Ma da oggi in poi voglio mutar vita. - Me
lo prometti? - Lo prometto. Voglio diventare un ragazzino perbene e
voglio essere la consolazione del mio babbo... Dove sarà il mio povero
babbo a quest'ora? - Non lo so. - Avrò mai la fortuna di poterlo
rivedere e abbracciare?
- Credo di si: anzi ne sono sicura. A questa risposta fu tale e tanta la
contentezza di Pinocchio, che prese le mani alla Fata e cominciò a
baciargliele con tanta foga, che pareva quasi fuori di sé. Poi, alzando
il viso e guardandola amorosamente, le domandò:
- Dimmi, mammina: dunque non è vero che tu sia morta?
- Par di no, - rispose sorridendo la Fata. - Se tu sapessi, che dolore e
che serratura alla gola che provai, quando lessi qui giace... - Lo so:
ed è per questo che ti ho perdonato. La sincerità del tuo dolore mi fece
conoscere che tu avevi il cuore buono: e dai ragazzi buoni di cuo re,
anche se sono un po' monelli e avvezzati male, c'è sempre da sperar
qualcosa: ossia, c'è sempre da sperare che rientrino sulla vera strada.
Ecco perché son venuta a cercarti fin qui. Io sarò la tua mamma... - Oh!
che bella cosa! - gridò Pinocchio saltando dall'allegrezza. - Tu mi
ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io.
- Volentieri, volentieri, volentieri! - Fino da domani, - soggiunse la
Fata, - tu comincerai coll'andare a scuola. Pinocchio diventò subito un
po' meno allegro.
- Poi sceglierai a tuo piacere un'arte o un mestiere... Pinocchio
diventò serio.
- Che cosa brontoli fra i denti? - domandò la Fata con accento
risentito.
- Dicevo... - mugolò il burattino a mezza voce, - che oramai per andare
a scuola mi pare un po' tardi... - Nossignore. Tieni a mente che per
istruirsi e per imparare non è mai tardi.
- Ma io non voglio fare né arti né mestieri... - Perché?
- Perché a lavorare mi par fatica. - Ragazzo mio, - disse la Fata, -
quelli che dicono così, finiscono quasi sempre o in carcere o
all'ospedale. L'uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato
in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a
lasciarsi prendere dall'ozio! L'ozio è una bruttissima malattia, e
bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando siamo grandi, non
si guarisce più. Queste parole toccarono l'animo di Pinocchio, il quale
rialzando vivacemente la testa disse alla Fata:
- Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché,
insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un
ragazzo a tutti i costi. Me l'hai promesso, non è vero? - Te l'ho
promesso, e ora dipende da te.
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Pinocchio va co' suoi compagni di scuola in riva
al mare, per vedere il terribile Pescecane.
Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale.
Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro
scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva più. Chi gli faceva
uno scherzo, chi un altro; chi gli levava il berretto di mano; chi gli
tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll'inchiostro
due grandi baffi sotto il naso; e chi si attentava perfino a legargli
dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare.
Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma finalmente,
sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli,
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che più lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso
duro:
- Badate, ragazzi: io non son venuto qui per essere il vostro buffone.
Io rispetto gli altri e voglio essere rispettato. - Bravo berlicche! Hai
parlato come un libro stampato! - urlarono quei monelli, buttandosi via
dalle matte risate: e uno di loro, più impertinente degli altri allungò
la mano coll'idea di prendere il burattino per la punta del naso.
Ma non fece a tempo: perché Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e
gli consegnò una pedata negli stinchi. - Ohi! che piedi duri! - urlò il
ragazzo stropicciandosi il livido che gli aveva fatto il burattino. - E
che gomiti!... anche più duri dei piedi! - disse un altro che, per i
suoi scherzi sguaiati, s'era beccata una gomitata nello stomaco.
Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata Pinocchio acquistò
subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli
facevano mille carezze e tutti gli volevano un bene dell'anima. E anche
il maestro se ne lodava, perché lo vedeva attento, studioso,
intelligente, sempre il primo a entrare nella scuola, sempre l'ultimo a
rizzarsi in piedi, a scuola finita. Il solo difetto che avesse era
quello di bazzicare troppi compagni: e fra questi, c'erano molti monelli
conosciutissimi per la loro poco voglia di studiare e di farsi onore. Il
maestro lo avvertiva tutti i giorni, e anche la buona Fata non mancava
di dirgli e di ripetergli più volte: - Bada, Pinocchio! |
Quei tuoi compagnacci di scuola finiranno prima o poi col farti perdere
l'amore allo studio e, forse forse, col tirarti addosso qualche grossa
disgrazia. - Non c'è pericolo! - rispondeva il burattino, facendo una
spallucciata e toccandosi coll'indice in mezzo alla fronte, come per
dire: |
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« C'è tanto giudizio qui dentro! ». Ora avvenne che un bel giorno, mentre
camminava verso scuola, incontrò un branco dei soliti compagni, che
andandogli incontro, gli dissero: - Sai la gran notizia?
- No. - Qui nel mare vicino è arrivato un Pesce-cane, grosso come una
montagna.
- Davvero?... Che sia quel medesimo Pesce-cane di quando affogò il mio
povero babbo?
- Noi andiamo alla spiaggia per vederlo. Vieni anche tu?
- Io, no: voglio andare a scuola. - Che t'importa della scuola? Alla
scuola ci anderemo domani. Con una lezione di più o con una di meno, si
rimane sempre gli stessi somari.
- E il maestro che dirà? - Il maestro si lascia dire. È pagato apposta
per brontolare tutto il giorno. - E la mia mamma?... - Le mamme non
sanno mai nulla, - risposero quei malanni.
- Sapete che cosa farò? - disse Pinocchio. - Il Pesce-cane voglio
vederlo per certe mie ragioni... ma anderò a vederlo dopo la scuola. -
Povero giucco! - ribatté uno del branco. -
Che credi che un pesce di quella grossezza voglia star lì a fare il
comodo tuo? Appena s'è annoiato, piglia il dirizzone per un'altra parte,
e allora chi s'è visto s'è visto.
- Quanto tempo ci vuole di qui alla spiaggia? - domandò il burattino.
- Fra un'ora, siamo andati e tornati. - Dunque, via! e chi più corre, è
più bravo! - gridò Pinocchio. Dato così il segnale della partenza, quel
branco di monelli, coi loro libri e i loro quaderni sotto il braccio, si
messero a correre attraverso ai campi; e Pinocchio era sempre avanti a
tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.
Di tanto in tanto, voltandosi indietro, canzonava i suoi compagni
rimasti a una bella distanza, e nel vederli, ansanti, trafelati,
polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva proprio di cuore. Lo
sciagurato in quel momento non sapeva a quali paure e a quali orribili
disgrazie andava incontro!...
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