Le spose celesti di Zeus: 

 

 

Metis. Racconta il mito che Zeus, quando ebbe conquistato il trono celeste, prima di sposare Era ebbe varie mogli, da lui scelte fra le dee o le titanesse, a nessuna delle quali, però, diede la corona di regina dell'Olimpo. E, anche dopo aver riconosciuto Era come sua consorte, continuò a scegliersi altre spose tra le fanciulle mortali. Non per questo i Greci giudicarono Zeus come un dio spensierato e poco serio: sapevano che tutti quei matrimoni erano resi necessari dal fatto che il sommo fra gli dèi doveva dar vita a molte divinità, spesso assai diverse fra loro. D'altra parte, affinchè tra gli uomini e gli dèi ci fosse una certa unione, era necessario che alcune stirpi di mortali avessero origine divina e che quindi Zeus cercasse anche tra gli uomini le sue spose. Tra le spose celesti più importanti, dee o titanesse, la prima fu Metis, la Saggezza, una divinità austera, figlia di Oceano: Zeus avrebbe voluto avere da lei un figlio in cui fossero infuse tutta la sapienza e la potenza sue e della madre. Inoltre le era grato perché essa, sapiente in arti magiche, gli aveva preparato il filtro che, propinato a Crono, lo aveva costretto a vomitare Ì figli divorati. Per tutti questi motivi decise di sposarla. Ma allora venne a lui la sua ava Gea e gli fece un terribile pronostico: « Zeus, » gli disse, « è scritto nel libro del destino che il figlio nato da Metis si rivolgerà contro di te come tu ti sei rivolto contro tuo padre, e in eguai  modo ti rovescerà dal trono. Breve sarà dunque il tuo regno: 

Le Mòire o Parche, figlie di Zeus e Temis, governavano il destino degli uomini.


la tua punizione è vicina. » E, nel dir così, l'ava adirata guardava piena di minaccia e di soddisfazione quel nipote che aveva abbattuto e imprigionato i Titani suoi figli. Zeus rimase molto impressionato, ma non per questo rinunciò al figlio che attendeva. Raccolse tutte le sue energie divine e avviluppò in esse Metis come in un manto di luce; poi le riassorbì in sé e con esse assorbì la sposa che adesso faceva tutt'uno con lui, si confondeva con la sua stessa persona. Anche il. figlio che stava per nascere fu accolto così dal dio e, poco dopo, uscì dal suo cervello sotto forma di una guerriera armata, già adulta, che rimase sempre legata da grande affetto al padre, di cui rappresentava la saggezza: era la dea Atena, una delle divinità che meglio esprimono lo spirito ellenico. 

Temis. Seconda sposa di Zeus fu una titanessa, Temis, la Giustizia, figlia di Urano e di Gea. Il dio la sposò per avere figli che lo aiutassero a governare equamente gli uomini e la natura, ed ebbe infatti da lei le Ore, che presiedono al trascorrere del tempo e all'alternarsi delle stagioni, e le tré Mòire, che i Romani chiamarono Parche, alle quali fu affidato il destino degli uomini. La più anziana di loro, doto, ebbe due conocchie, una di lana nera e una di lana bianca, a seconda che il de- stino che preparava fosse disgraziato o felice; alla seconda, Làchesi, fu dato il fuso perche filasse i vari destini; la terza. Àtropo, ebbe le forbici per tagliarne il filo ogni qualvolta una vita giungeva al suo termine. Esse abitarono una scura caverna nel mondo sotterraneo, simbolo dell'oscurità che avvolge il destino umano. 

Mnemòsine. Ancora una titanessa, Mnemòsine, la Memoria, fu la terza moglie del dio. Zeus la raggiunse nei boschi della Beozia e la chiese in sposa per avere figli che proteggessero le arti e le scienze degli uomini. Nacquero infatti nove bellissime fanciulle, le Muse, ispiratrici delle arti liberali. Si sente tanto parlare delle Muse che sarete curiosi di conoscere i loro nomi. Eccoli: Clio, musa dell'epica e della storia, esaltatrice delle migliori gesta degli uomini; Euterpe, musa della 


Anche le Ore, che presiedevano al trascorrere del tempo, erano figlie di Zeus e di Temis, Le Muse, protettrici delle arti e delle scienze, erano figlie di Zeus e di Mnemòsine.


musica; Talia, musa della commedia e più tardi dell'agricoltura; Melpòmene, musa del canto e della poesia drammatica; Tersìcore, musa della poesia lirica e della danza; Èrato, musa della poesia amorosa e della geometria; Polinnia, musa del canto sacro; Callìope, musa dell'elegia; Urania, musa dell'astronomia. Esse rappresentavano l'insieme di tutto ciò che costituiva la cultura per lo spirito greco. 
La prima gara di canto. Le nove Muse erano anche dette Pièridi, ed ecco perché. Viveva un tempo in Macedonia un re, Piero, il quale aveva nove figlie, abilissime nel canto. Esse divennero così orgogliose che, un bel giorno, non esitarono a sfidare le nove Muse a una gara di canto. Giudici sarebbero state le ninfe. Ed ecco le diciotto fanciulle raccolte in due cori nel mezzo di un verde prato, circondato da vezzose nàiadi, che erano venute dai fiumi, da drìadi e da amadrìadi, uscite dai boschi, e da orèadi, scese dai monti. Era uno spettacolo assai vago. Per prime cantarono le figlie di Piero, e le ninfe applaudirono commosse, ma, quando venne la volta delle Muse, vi fu un grande silenzio perché il loro canto era stato così dolce e, insieme, così ricco di cose profonde, che le ninfe rimasero assorte e incantate. Quando si riscossero attribuirono concordi il premio alle Muse. Le figlio di Piero, per punizione del loro orgoglio, furono mutate in garrule piche, gli uccelli più noiosi che si possano immaginare. E da allora le Muse furono anche detto Pièridi, ossia vincitrici delle figlie di Piero. 
Dèmetra ed Era. Anche Dèmetra, figlia di Crono, dea delle messi, fu sposa di Zeus e loro figlia fu la infelice Persèfone, che i Romani chiamarono Prosèrpina. Ma la sposa che doveva rimanere sempre al suo fianco, la prediletta, fu Era. Per molto tempo Zeus cercò di ottenere il suo amore, ma Era non voleva ascoltarlo. Un giorno la dea, con alcune ninfe sue compagne, passeggiava lungo le pendici del monte Tornace, nell'isola di Samo, 

quando un pauroso uragano si abbattè improvvisamente su di loro. Le fanciulle trovarono a stento riparo in una grotta, ed ecco che un piccolo cuculo, dopo avere svolazzato un poco davanti a loro, venne a rifugiarsi, fradicio di pioggia e intirizzito, tra le vesti di Era. La dea ne ebbe pietà e lo tenne fra le mani cercando di riscaldarlo, ma d'un tratto la bestiola fuggì da lei e subito si trasformò in una figura radiante. Era lo stesso Zeus che le appariva in tutta la sua gloria e, ancora una volta, la chiedeva in sposa. Era non seppe rifiutarsi e le nozze vennero celebrate solennemente nell'isola di Creta. Tutti gli dèi furono presenti e portarono i loro doni; ma nessun dono superò quello di Gea: un prezioso albero che dava frutti d'oro. Ottima come moglie, Era non ebbe molta fortuna come madre: i suoi figli più noti furono Ares ed Efesto, ossia le divinità meno quotate della famiglia. Leto. I due figli più belli, i gemelli prediletti. Apollo e Artèmide, Zeus li ebbe da una discendente dei Titani, Leto, che i Romani chiamarono Latona. Ma la poveretta pagò cara la gioia di aver dato due bei bambini al dio perché Era, furibonda di gelosia, la scacciò dall'Olimpo e, non contenta, fece uscire da un sozzo pantano un orribile 1 mostro, il serpente Pitone, a cui diede ordine di inseguire la sventurata dovunque andasse. Poi, come se non bastasse, si rivolse alla Terra vietandole severamente di offrire rifugio alla fuggiasca. Leto andò vagando dappertutto in cerca di asilo, ma venne sempre respinta. 

Leto, inseguita dal serpente Pitone, andò vagando respinta da tutti.


Si sapeva ormai che contro di lei si era rivolta l'ira della regina degli dèi e tutti avevano paura di incorrere nel suo corruccio. Perfino dei rozzi contadini, a cui la sventurata titanide aveva chiesto asilo, si presero beffe di lei, e male ne incolse loro perché Leto rivolse al cielo una così ardente preghiera, chiamandolo a testimonio di tanta ingiustizia, che quei malvagi furono subito tramutati in ranocchie. Del resto, Leto, sebbene perseguitata, fu sempre crudelmente vendicata: lo seppe, come vedremo, l'infelice Nìobe, che si vantò madre più fortunata di lei. Finalmente Posìdone che, vivendo appartato nel profondo degli oceani, poteva permettersi di sfidare l'ira di Era, ebbe pietà di lei e, poiché la terra si rifiutava di accoglierla, percosse il fondo del mare con il suo enorme tridente e ne fece scaturire l'isola di Delo, la quale, galleggiando sulle acque, non apparteneva alla terra. I due fanciulli vennero alla luce sotto un bel palmeto e le ninfe accorsero a prendersi cura di loro e a ristorare la madre.

Maia. Infine, l'astuto Ermes nacque da Maia, anch'essa discendente di Titani perche figlia di Atlante. Zeus la incontrò nei boschi di Arcadia, dov'ella risiedeva, e abitò con lei nella grotta Cillenia. Di lei, però, Era non si mostrò gelosa, anzi, si offrì di allattarne il fanciullino, il che dimostra che anche una dea come Era, non molto ricca di fantasia e portata regolarmente a sostenere i suoi diritti di sposa, poteva andare soggetta di tanto in tanto a qualche estro difficilmente spiegabile.  Tanta era l'abbondanza del suo latte che una volta ne sprizzarono alcune stille nel cielo e vi rimasero trasformate in un grande sciame di stelle: la Via Lattea. Quanto a Maia, fu assunta in cielo insieme con le sue sorelle e, al pari di loro, trasformata nella più elegante e gentile delle costellazioni: quella delle Plèiadi. Molte altre spose divine ebbe Zeus, ma queste sono le principali e sarà bene fermarci' qui. In definitiva, si possono considerare tutte come una sposa unica dai molti nomi che rappresenta sempre la divinità madre, la donna divina da cui il dio del cielo ottiene la sua discendenza. 


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