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Le spose
mortali di Zeus:
il mito di Io
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il mito di Io.
Nei pressi di Argo sorgeva un tempio dedicato a Era e in esso viveva, come
sacerdotessa, una fanciulla bellissima, Io, figlia di re. Zeus passava spesso da
quel tempio, ora sotto forma di giovane cacciatore, ora in apparenza di principe,
ora in quella di un povero pellegrino: perché aveva notato la bella sacerdotessa e
aveva deciso di farne una delle sue mogli mortali. Ma Io non volle mai saperne di
lui e sempre lo respinse. Aveva riconosciuto il re degli dèi sotto le mentite
spoglie e non voleva davvero incorrere nel corruccio della sua legittima sposa
divina, Era, di cui, d'altra parte, era sacerdotessa. « Bel cacciatore, » diceva (o « bel principe, » o « bel pellegrino, » a
seconda dei casi), « come puoi osare offrire le nozze a me, che sono sacerdotessa della regina
degli dèi? » Un giorno, però, mentre passeggiava sul verde prato dinanzi al
tempio, una fulgida nube d'oro le apparve nel ciclo e venne lentamente avvicinandosi. Poi una
nebbia dorata calò piano sulla terra; improvvisamente la fanciulla si trovò tutta avvolta in un pulviscolo
luminoso che le abbagliava la vista: la nube d'oro era scesa fino a lei ed
ora l'avviluppava. Contemporaneamente una voce risuonò al suo orecchio: « Io, tusei la mia sposa!
» E la sacerdotessa dovette le accettare lavolontà.! di Zeus che si era
trasformato in quella luce perimporlele nozze. |
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Argo l'insonne. Era non lardò
a saperlo e arse di sdegno come Io si aspettava: nella sua ira si sarebbe
certo vendicata nel modo più crudele se Zeus non le avesse sottratto la
fanciulla mutandola in una candida giovenca. Ma questo espediente non
ingannò la dea: essa indovinò
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la trasformazione, riuscì a impadronirsi della giovenca e,
perchè
non tornasse più nel suo primitivo aspetto, la consegnò a uno strano essere, Argo, lontano
parente di Io. perche la custodisse. Codesto Argo, sebbene di origine divina, era uri mortale dotato di
una forza eccezionale: ma quel che lo rendeva del tutto diverso dagli altri era il fatto di avere cento occhi,
tanto da esserne quasi tutto coperto: li aveva a collana, a braccialetto, a
bandoliera, sul petto |
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Una
fulgida nube d'oro le apparve. |
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e sulle spalle, così che nulla poteva sfuggirgli. E
dormiva solo con cinquanta occhi per volta così che ne aveva sempre altrettanti svegli. Era aveva
scelto il guardiano ideale. Argo si presentò a Era, vestito, come di consueto, con la pelle di un
enorme toro da lui stesso ucciso, che a lungo aveva devastato Ì campi e le foreste
dell'Arcadia; prese in consegna la bella giovenca, la condusse in un solitario boschetto di ulivi
presso Micene, la legò a uno degli alberi e le si sdraiò vicino. Se qualcuno si accostava, di giorno
di notte, gli imponeva di andarsene e guai a lui se non si allontanava più
che in fretta
Io liberata. Zeus non voleva lasciare la sua sposa mortale in quelle
condizioni, ma non sapeva come liberarla. Infine si rivolse a suo figlio Ermes pregandolo di trovar lui una via d'uscita.
Ermes, oltre che maestro di astuzie e di ritrovati, era un ottimo musicista:
appena nato aveva inventato la lira, fabbricandola con un gusci di testuggine. Quindi non si
impensierì: prese il suo flauto e si avvicinò tranquillamente, ma non troppo, ad Argo.fingendosi un pastore
Poi cominciò a suonare, ma cosi dolcemente che dapprima il mostro ne fu rapito, poi sentì una grande pace invadergli
l'animo e infine si addormento con tutti e cento i suoi occhi. Era proprio quello che il giovane
dio voleva: in un attimo tagliò la testa al guardiano e liberò così la bianca giovenca.
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In
Egitto, Zeus apparve a Io per ridarle la forma umana e la
bellezza. |
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II tafano. Tuttavia i mali di Io non erano finiti. Era, mentre volle
compensare lo sciagurato Argo trasformandolo in pavone e costellando di bellissimi occhi neroazzurri la sua c'oda, perseguitò Io scagliando
contro di lei un terribile tafano che. con le sue punture, fece addirittura
impazzire la giovenca. La sciagurata Io, lanciatasi a galoppo furioso e tentando
invano di fuggire l'acuto morso, si gettò dapprima nel mare Ionio, a cui diede
il suo nome, poi attraversò la Grecia da occidente a oriente passando per
l'Illiria e per la Tracia fino allo stretto che poi si chiamò Bosforo, ossia
«passaggio della giovenca »; di lì percorse il Caucaso, la Scizia. la
Crimea, varcò a nuoto vasti tratti del Mar Nero, giunse infine in Egitto dove, esausta, si lasciò cadere invocando Zeus e pregandolo di porre fine
alle sue sventure.
Èpafo. Allora Zeus le apparve, le passò dolcemente una mano sul
dorso, e subito ella riprese forma umana e riebbe la sua bellezza. Ma non per questo le sue
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peripezie ebbero termine. Poco dopo Io aveva
un bambino, Èpafo, figlio di Zeus. Era, implacabile, rivolse anche contro il fanciullo la sua ira. Chiamò
i Cuieti, quegli stessi strani esseri un pò guerrieri, Chiamò
i Cuieti, quegli stessi strani esseri un pò guerrieri, un po' danzatori e
un pò sacerdoti che difesero Zeus ancora lattante nell'isola di Creta, e ingiunse loro di
rapirlo e di portarlo in lontane regioni. Cosi fu fatto. e la dolente Io riprese le sue peregrinazioni alla ricerca del figlio.
Male però doveva andare per i Cureti, perche Zeus, infurialo, fulminò con
le sue folgori i disgraziati danzatori. Dopo lunghe ricerche, la madre ritrovò il figlioletto nella lontana
Siria e lo riportò al sicuro in Egitto, dove più tardi Epafo sali sul trono
dei faraoni. |
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