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La ricca veste fu portata il giorno indicato proprio come il re aveva
detto. La luna, ammantata d'argento, aveva minor magnificenza nei cieli
notturni anche quando, nel mezzo del corso, fa impallidir le stelle con
il suo intenso chiarore. La principessa non sapeva più che fare, ma
poi, per consiglio della madrina, disse: « Non sarò contenta se non avrò una veste ancor più fulgida della
luce del sole. » II re, che ormai era mezzo matto, chiamò subito un orefice
ordinandogli un abito tessuto d'oro e di diamanti, e aggiunse:
« Attento, se non l'indovini, ti faccio in diecimila pezzettini. »
Ma non dovette darsi questa briga perche l'abile artefice, prima
che finisse la settimana, gli recò l'opera preziosa, così bella, vivace e
radiante che il biondo dio del sole, quando va a spasso per la
volta celeste sul suo carro d'oro, non abbaglia gli occhi con più fulgida luce.
L'infanta era davvero nel più grande imbarazzo, ma ecco che la
madrina le si avvicina ancora prendendola per |
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mano: « Non bisogna fermarsi qui, » le disse. « Finche avrà l'asino che gli
riempie la borsa di scudi d'oro, ti farà tutti i doni che vorrai e non
ci sarà da meravigliarsene. Domandagli la pelle di quell'animale più
unico che raro: o mi sbaglio di grosso o non te la darà perché è la
sua sola risorsa. » Quella fata sapeva molte cose, e tuttavia non sapeva ancora che
quando uno è fuor di cervello non fa alcun conto dell'oro e
dell'argento. Difatti la pelle del disgraziato somaro fu subito accordata non
appena la principessa l'ebbe richiesta. Quando gliela portarono, l'infanta si sentì piena di spavento e
cominciò a lamentarsi della sua sorte. Ma la madrina accorse e le spiegò
che, quando si agisce per il meglio, non bisogna aver paura di nulla.
Lasciasse dunque credere al re di esser pronta a sottomettersi e poi,
travestita e sola soletta, si avviasse in qualche Stato lontano dove nessun
male la minacciasse. E aggiunse: « Ecco qui un gran baule nel quale metterai i tuoi abiti, lo specchio,
il piumino della cipria, i tuoi diamanti e i tuoi rubini. Ti regalo anche
la mia bacchetta magica: finchè la terrai in mano, il baule ti seguirà muovendosi non visto sotto terra, e, quando vorrai aprirlo, basterà
che tocchi il suolo con la bacchetta perché subito ti appaia. Per renderti poi irriconoscibile non c'è
miglior mascheramento della pelle d'asino: chiuditi lì dentro: è così brutta che nessuno sospetterà
che nasconda qualche cosa di bello. » La principessa se ne andò dunque, così travestita, nell'aria
fresca del mattino, e poco dopo il re, che già si preparava alle nozze, ne ebbe
l'annunzio. Si fanno ricerche in tutte le case, in tutte le vie, in tutti i sentieri, ma è fatica sprecata: la principessa è
introvabile. Naturalmente si diffuse dappertutto una gran malinconia: non più nozze, non più
banchetti, non più pasticcini; le dame di corte, piene di sconforto, non si misero nemmeno a tavola;
ma il più scontento di tutti fu il curato, che dovette andare a colazione molto tardi e non ebbe la
soddisfazione di celebrare un gran matrimonio. Frattanto la principessa continuava la sua strada,
ravvolta nella pelle d'asino, con il visetto sudicio, stendendo la mano ai passanti in cerca
di qualcuno che la prendesse a servizio. Ma tutti quanti, nel vederla così sudicia e con una pelle
d'asino addosso, non ne volevano sapere. |
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E cammina, cammina, cammina, finalmente arrivò a una
fattoria dove il fattore aveva bisogno di una ragazza di fatica per lavare i cenci di
cucina, il truogolo dei maiali e altre cose simili. La misero in un canto in fondo alle cucine dove i valletti insolenti non
facevano che prenderla in giro e stuzzicarla in mille modi, non lasciandosi sfuggire una sola
occasione per beffeggiarla, contraddirla e farla arrabbiare. La domenica godeva di un po' di sollievo
perche, dopo aver sbrigato le faccende fin dal mattino, si chiudeva nella sua stanzetta, si lavava ben
bene, apriva il suo baule, disponeva in bell'ordine sul tavolino il piumino della cipria e tutti
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i suoi
oggettini, e, davanti allo specchio, tutta contenta, indossava il vestito color di luna oppure quello color di
sole, dal vivo splendore, o anche quello color del tempo,, il cui azzurro era ancor più bello dell'azzurro del
cielo. Solo le dispiaceva che il loro lungo strascico non potesse ben distendersi in quello stanzino troppo
piccolo. Le piaceva guardarsi così bene agghindata, giovane e fresca come fior di rosa,
e saggia e giudiziosa quanto nessuna al mondo era mai stata. Non era dunque un'ambizione vana
il giuoco che faceva perche con quel piacer si sosteneva tutta la settimana. Dimenticavo di dirvi che quella fattoria
apparteneva a un re ricco e potente il quale aveva là i pollai di corte ricolmi di polli di Barberia,
galline faraone, fagiani, oche, anatre e tanti altri uccelli di tutti i generi e di tutti i colori da riempire dieci interi
cortili. Per questo il figlio del re capitava lì spesso a riposarsi dopo la caccia, e a rinfrescarsi
con i signori di corte. Era bello come un Adone, pieno di regalità e con un aspetto marziale da far tremare interi
battaglioni messi in fila. Pelle d'Asino, come la chiamavano, sbirciandolo di lontano lo trovò
molto simpatico, e il fatto che ella osasse levar lo sguardo su di un principe così nobile e fiero, dimostra che,
sotto i suoi cenci, conservava il cuore di una principessa. « Che aspetto altero e, insieme, disinvolto, »
pensava, « e che maniere da signore! Quella che avrà il suo cuore sarà davvero fortunata, e molto.
Se mai mi regalasse soltanto un vestitino di bigello, lo troverei più bello di tutti quelli che ho nelle mie casse. »
Un giorno il principe, gironzolando a caso di cortile in cortile, passò per un corridoio oscuro su cui dava
l'umile stanzino di Pelle d'Asino, e, per curiosità, spiò dal buco della serratura. Siccome era giorno di
festa, la fanciulla aveva indossato il vestito tessuto di oro fino e di enormi diamanti che eguagliava il più puro
splendore del sole. Il principe la guardò sbigottito e con tanto piacere che riusciva appena a tirare il fiato.
La veste era magnifica, ma la bellezza del volto di chi la indossava, la gentilezza della sua persona, il suo
candore, la finezza dei lineamenti, la sua fresca giovinezza, lo attraevano ancor di più; e una certa qual aria
regale, unita a un saggio e modesto pudore che testimoniava la nobiltà del suo animo, lo rapirono
addirittura. |
Nell'impeto del suo entusiasmo, per tre volte fu per aprire la porta,
ma per tre volte si trattenne, pieno di rispetto, credendo di avere dinanzi una divinità.
Tornò pensieroso al suo palazzo e, da quel momento, cominciò a sospirare; non volle più partecipare a balli ne a feste,
sebbene si fosse di carnevale; prese in odio la caccia, non andò
più a teatro, perse l'appetito, insomma era sempre pieno di
angoscia. La sua malattia consisteva in un triste e mortale languore. ;
S'informò chi fosse la meravigliosa ninfa che abitava pressa il pollaio,
in fondo a un corridoio buio dove non entrava mai il sole. « È Pelle d'Asino, » gli
risposero, « ma non si tratta davvero di una ninfa nè di una
bella ragazza. La chiamano Pelle d'Asino a |
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causa della pelle che
si mette addosso, e basta guardarla per non innamorarsi più
per tutta la vita. » Ma per quanto gli dicano, nulla può cancellare
l'immagine che l'amore ha scolpito nella sua memoria. Frattanto la
regina, mane e sera, guarda il figlio malato, e piange, e si
dispera; invano insiste a chiedergli che cosa lo renda così
triste; lui lacrima e sospira fìtto fitto e resta zitto. Ma alfin parla,
ed esprime una richiesta semplice e onesta, ed è che Pelle d'Asino
gli faccia con le sue proprie mani una focaccia. La regina non
conosce questa Pelle d'Asino e s'informa. « Santi numi! » le
dicono. « Signora mia. Pelle d'Asino è una servaccia più brutta e più sudicia dell'ultima
delle sguattere. » « Non importa, » rispose la regina, « bisogna
farlo contento e nulla importa fuori di questo. » Pelle d'Asino
prese dunque della farina ben setacciata perché la pasta risultasse più fine, sale, burro,
uova fresche, e si chiuse nella sua stanzetta per fare in pace la
focaccia. Anzitutto si lavò le mani, le braccia e il volto, nè
mancò di cingere un bel grembiulino tessuto d'argento per portare degnamente a termine la
sua opera. La storia dice che, impastando un po' in fretta, non
si accorse che uno dei suoi preziosi anelli le era scivolato dal
dito nella pasta; ma io credo invece che ce lo mise a bella posta, come pure sono persuaso
che, il principe la guardò dal buco della serratura, lei se ne accorse.
Ed i medici, ricchi di esperienza, osservando i suoi crucci, la magrezza, il pallore,
furon d'accordo, con profonda scienza, che si trattava sol di mal d'amore. E poiché il matrimonio, checché se ne dica, è il miglior
rimedio per questa malattia, fu deciso di dargli moglie. Il principe si fece pregare
un tantino, infine disse: « Accetto, ma solo a condizione che mi si faccia sposare la fanciulla
a cui andrà bene questo anello. » II re e la regina si meravigliarono assai di questa strana richiesta, ma
il povero principe stava così male che nessuno si arrischiò a contraddirlo. Così ci si mise alla ricerca di quella che doveva esser principessa
in grazia dell'anello, senza badare affatto alla nobiltà del suo sangue. In tutto il reame non ci fu neppure una
ragazza che rinunziasse a provarsi l'anello o fosse disposta a cedere i suoi diritti. |
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