C'era una volta un re, il maggior che esistesse sulla terra,
in pace amabilissimo ma terribile in guerra, a cui paragonarsi nessuno mai potè.
I suoi vicini lo temevano, i suoi Stati erano tranquilli, le virtù e le arti fiorivano dappertutto sotto il suo dominio. La sua fedele compagna
era così bella, così dolce, che al suo fianco si sentiva felice ancor più come sposo che cóme re. Inoltre, dalle loro nozze era
nata una figlia così ricca di virtù che essi potevano consolarsi facilmente di non avere
altra discendenza. Nel suo grande palazzo tutto era magnifico, le sale erano affollate di
cortigiani e di valletti; nelle sue scuderie c'erano cavalli grandi e piccoli di ogni razza, coperti con belle gualdrappe
ricamate e intessute d'oro. Ma quel che sorprendeva più di ogni altra cosa era il fatto che,
nel luogo più in vista, un magnifico asino facesse pompa delle sue lunghissime orecchie.
Una tale ingiustizia meraviglierà anche voi, ma non considererete immeritato tanto onore quando conoscerete le
ineguagliabili virtù di quel somaro. La natura lo aveva creato in modo che non c'era bisogno
di far pulizia nella sua stalla: ogni mattina, al suo risveglio, i mozzi di stalla, invece di portar via
Ma quel che
sorprendeva più di tutto era un magnifico asino.
sporcizia
dalla sua lettiera, raccoglievano scudi d'oro, marenghi, fiorini e sfavillanti monete d'ogni sorta.
Ma la Provvidenza ogni tanto si stanca di rendere gli uomini felici e frammischia qualche disgrazia ai suoi
doni come la pioggia al bel tempo. E così avvenne che la regina cadde improvvisamente malata.
Di quel mal dappertutto si udì l'eco, ma nè i medici dotti, quelli, dico, che hanno
la scienza di chiamare ogni malanno con nomi che derivano dal greco, e nemmeno, pensate, i ciarlatani
che vanno per le vie curando piaghe, offese e malattie solo col tocco delle loro mani,
poteron tutti in branco, con le brutte o le buone, risanar la regina che andava in consunzione.
Vicina a esalar l'ultimo respiro, ella disse al re suo sposo: « Permettete che, prima di morire, vi rivolga una preghiera. Quando
non sarò più viva, se mai vi venisse voglia di riammogliarvi... » « Oh! giammai! » esclamò il re. « È una preoccupazione
superflua, state pur tranquilla, non mi passerà neppure per la mente. » « Lo credo anch'io, » rispose
la regina, « mi amate troppo per farlo. Ma per esserne più sicura voglio che me lo giuriate. Tuttavia
consento
a questo: che, se troverete una donna più bella, più graziosa e più saggia
di me, le diate la vostra fede e ve la sposiate. » La regina aveva tanta fiducia nelle proprie doti da essere convinta
di avere indotto molto accortamente il re a promettere di non sposarsi più. Il re, infatti, con gli occhi pieni di lacrime, giurò tutto
quel che voleva, dopo di che ella gli morì nelle braccia, e mai si vide un marito far tanto chiasso per la
morte della propria moglie. A sentirlo singhiozzare notte e giorno, tutti pensarono che il suo cordoglio non
sarebbe durato a lungo e che egli piangeva il suo defunto amore come un uomo che abbia fretta e che
voglia liberarsi del suo dolore tutto in una volta e sbrigarsela senza perder tempo. Nè s'ingannavano.
Dopo pochi mesi egli pensava già di passare a nuove nozze. Certo non era facile, la cosa:
doveva tener fede al giuramento e stare attento che la nuova sposa fosse ancora più bella e più dotata
di quella ch'era appena sotterrata. Ora, una ragazza simile non si potè trovare nè alla corte, dove
tuttavia le donne belle non mancavano,
La madrina viveva
in una grotta tutta tappezzata di madreperla e di corallo.
ne in campagna, nè in città, nè in tutti i regni più vicini. Solo l'infanta, ossia la figlia del re,
era più bella di sua madre e possedeva doti che la defunta non aveva avuto. Perfino il re se ne accorse e
gli venne addirittura l'idea pazza di essere costretto a sposare la propria figlia per tener fede al suo
giuramento; ma naturalmente la principessa non ne volle sapere. Nella sua angustia, ella andò a trovare la
madrina, che viveva in una lontana grotta tutta tappezzata di madreperla e di corallo perchè era
una fata, e, per di più, la migliore di tutte le fate. Credo di non dovervi spiegare che cosa fosse una fata in quei tempi
felici perchè ve l'avrà già detto la vostra balia. « So già che cosa ti conduce qui, » diss'ella nel vedere la
principessa, « e conosco la profonda tristezza del tuo cuore. Ma sta' tranquilla, nulla
potrà nuocerti purché tu segua attentamente i miei consigli. So che tuo padre è uscito di cervello a tal punto che vorrebbe
sposarti, ma tu puoi rifiutarti senza bisogno di contraddirlo. Gli dirai che, per esser felice
con te, deve regalarti, prima delle nozze, un vestito color del tempo: per quanto sia ricco e potente, e per quanto la
fortuna lo aiuti, puoi esser certa che non potrà mai esaudire la tua richiesta. »
La principessa, tutta tremante, tornò a casa e disse al padre quel che gli aveva consigliato la madrina.
E il re fece annunziare ai sarti più famosi e riveriti che, se non gli cucivano, senza farlo aspettare,
almeno un paio di simili vestiti, egli li avrebbe fatti tutti quanti impiccare. Non era ancora spuntata l'alba del secondo giorno e già arrivava a
corte l'abito desiderato. II più bell'azzurro dell'empireo, circondato da
soffici nubi d'oro, non ne avrebbe potuto eguagliare il meraviglioso
turchino. L'infanta, colma di meraviglia e di dolore, non sapeva che
dire nè come sottrarsi al suo impegno. « Cara principessa, » le suggerì allora la madrina sottovoce, « chiedi
un abito più chiaro e brillante del colore della luna: tuo padre non
? riuscirà a dartelo. » Non appena la principessa ebbe fatto la domanda,
il re si volse pronto al suo ricamatore e gli disse: «Perduto il suo
splendore, la luna sembri pallida al confronto; corri dunque spedito
e in quattro giorni portami il vestito. »