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e facciamo con la sua pelle questo bel tamburo. E cominciò a tirare la
fune, con la quale lo aveva legato per una gamba: e tira, tira, tira,
alla fine vide apparire a fior d'acqua... indovinate? Invece di un
ciuchino morto, vide apparire a fior d'acqua un burattino vivo che
scodinzolava come un'anguilla. Vedendo quel burattino di legno, il
pover'uomo credé di sognare e rimase lì intontito, a bocca aperta e con
gli occhi fuori della testa.
Riavutosi un poco dal suo primo stupore, disse piangendo e balbettando:
- E il ciuchino che ho gettato in mare dov'è? - Quel ciuchino son io! -
rispose il burattino, ridendo. - Tu? - Io. - Ah! mariuolo! Pretenderesti
forse burlarti di me?
- Burlarmi di voi? Tutt'altro, caro padrone: io vi parlo sul serio.
- Ma come mai tu, che poco fa eri un ciuchino, ora, stando nell'acqua
sei diventato un burattino di legno?... - Sarà effetto dell'acqua del
mare. Il mare ne fa di questi scherzi.
- Bada, burattino, bada!... Non credere di divertirti alle mie spalle.
Guai a te, se mi scappa la pazienza. - Ebbene, padrone: volete sapere
tutta la vera storia? Scioglietemi questa gamba e io ve la racconterò.
Quel buon pasticcione del compratore, curioso di conoscere la vera
storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e
allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell'aria prese a
dirgli così:
- Sappiate dunque che io ero un burattino di legno come sono oggi: ma mi
trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in questo
mondo ce n'è tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per
dar retta ai cattivi compagni, scappai di casa... e un bel giorno,
svegliandomi, mi trovai cambiato in un somaro con tanto di orecchi... e
con tanto di coda!... Che vergogna fu quella per me!... Una vergogna,
caro padrone, che Sant'Antonio benedetto non la faccia provare neppure a
voi! Portato a vendere sul mercato degli asini, fui comprato dal
Direttore di una compagnia equestre, il quale si messe in capo di far di
me un gran ballerino e un gran saltatore di cerchi; ma una sera durante
lo spettacolo, feci in teatro una brutta cascata, e rimasi zoppo da
tutt'e due le gambe. |
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Allora il direttore non sapendo che cosa farsi d'un asino zoppo, mi
mandò a rivendere, e voi mi avete comprato! - Pur troppo! E ti ho pagato
venti soldi. E ora chi mi rende i miei poveri venti soldi? - E perché mi
avete comprato? Voi mi avete comprato per fare con la mia pelle un
tamburo!... un tamburo!... - Pur troppo!... E ora dove troverò un'altra
pelle? - Non vi date alla disperazione, padrone. Dei ciuchini ce n'è
tanti, in questo mondo! - Dimmi, monello impertinente: e la tua storia
finisce qui?
- No, - rispose il burattino, - ci sono altre due parole, e poi è
finita. Dopo avermi comprato, mi avete condotto in questo luogo per
uccidermi; ma poi, cedendo a un sentimento pietoso d'umanità, avete
preferito di legarmi un sasso al collo e di gettarmi in fondo al mare. |
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Questo sentimento di delicatezza vi onora moltissimo, e io ve ne serberò
eterna riconoscenza. Per altro, caro padrone, questa volta avete fatto i
vostri conti senza la Fata... - E chi è questa Fata? - E la mia mamma,
la quale somiglia a tutte quelle buone mamme, che vogliono un gran bene
ai loro ragazzi e non li perdono mai d'occhio, e li assistono
amorosamente in ogni disgrazia, anche quando questi ragazzi, per le loro
scapataggini e per i loro cattivi portamenti, meriterebbero di essere
abbandonati e lasciati in balìa a se stessi. Dicevo, dunque, che la
buona Fata, appena mi vide in pericolo di affogare, mandò subito intorno
a me un branco infinito di pesci, i quali credendomi davvero un ciuchino
bell'e morto, cominciarono a mangiarmi! E che bocconi che facevano! Non
avrei mai creduto che i pesci fossero più ghiotti anche dei ragazzi! Chi
mi mangiò gli orecchi, chi mi mangiò il muso, chi il collo e la
criniera, chi la pelle delle zampe, chi la pelliccia della schiena.. e
fra gli altri, vi fu un pesciolino così garbato, che si degnò perfino di
mangiarmi la coda. - Da oggi in poi, - disse il compratore inorridito, -
faccio giuro di non assaggiar più carne di pesce. Mi dispiacerebbe
troppo di aprire una triglia o un nasello fritto e di trovargli in corpo
una coda di ciuco! - Io la penso come voi, - replicò il burattino,
ridendo. - Del resto, dovete sapere che quando i pesci ebbero finito di
mangiarmi tutta quella buccia asinina, che mi copriva dalla testa ai
piedi, arrivarono,- com'è naturale, all'osso... o per dir meglio,
arrivarono al legno, perché, come vedete, io son fatto di legno
durissimo. Ma dopo dati i primi morsi, quei pesci ghiottoni si accorsero
subito che il legno non era ciccia per i loro denti, e nauseati da
questo cibo indigesto se ne andarono chi in qua chi in là, senza
voltarsi nemmeno a dirmi grazie... Ed eccovi raccontato come qualmente
voi, tirando su la fune, avete trovato un burattino vivo, invece d'un
ciuchino morto. - Io mi rido della tua storia, - gridò il compratore
imbestialito. - Io so che ho speso venti soldi per comprarti, e rivoglio
i miei quattrini. Sai che cosa farò? Ti porterò daccapo al mercato, e ti
rivenderò a peso di legno stagionato per accendere il fuoco nel
caminetto.
- Rivendetemi pure: io sono contento, - disse Pinocchio. Ma nel dir
così, fece un bel salto e schizzò in mezzo all'acqua. E nuotando
allegramente e allontanandosi dalla spiaggia, gridava al povero
compratore: - Addio, padrone; se avete bisogno di una pelle per fare un
tamburo, ricordatevi di me. E poi rideva e seguitava a nuotare: e dopo
un poco, rivoltandosi indietro, urlava più forte: |
- Addio, padrone: se avete
bisogno di un po' di legno stagionato, per accendere il caminetto,
ricordatevi di me. Fatto sta che in un batter d'occhio si era tanto
allontanato, che non si vedeva quasi più: ossia, si vedeva solamente
sulla superficie del mare un puntolino nero, che di tanto in tanto
rizzava le gambe fuori dell'acqua e faceva capriole e salti, come un
delfino in vena di buonumore. |
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Intanto che Pinocchio nuotava alla ventura, vide in mezzo al mare uno
scoglio che pareva di marmo bianco: e su in cima allo scoglio, una bella
Caprettina che belava amorosamente e gli faceva segno di avvicinarsi. La
cosa più singolare era questa: che la lana della Caprettina, invece di
esser bianca, o nera, o pallata di due colori, come quella delle altre
capre, era invece turchina, ma d'un color turchino sfolgorante, che
rammentava moltissimo i capelli della bella Bambina. Lascio pensare a
voi se il cuore del povero Pinocchio cominciò a battere più forte!
Raddoppiando di forza e di energia si diè a nuotare verso lo scoglio
bianco: ed era già a mezza strada, quando ecco uscir fuori dall'acqua e
venirgli incontro una orribile testa di mostro marino, con la bocca
spalancata, come una voragine, e tre filari di zanne che avrebbero fatto
paura anche a vederle dipinte. E sapete chi era quel mostro marino? Quel
mostro marino era né più né meno quel gigantesco Pesce-cane, ricordato
più volte in questa storia, e che per le sue stragi e per la sua
insaziabile voracità, veniva soprannominato « l'Attila dei pesci e dei
pescatori ». Immaginatevi lo spavento del povero Pinocchio alla vista
del mostro. Cerco di scansarlo, di cambiare strada: cercò di fuggire: ma
quella immensa bocca spalancata gli veniva sempre incontro con la
velocità di una saetta. - Affréttati, Pinocchio, per carità! - gridava
belando la bella Caprettina. E Pinocchio nuotava disperatamente con le
braccia, col petto, con le gambe e coi piedi. - Corri, Pinocchio, perché
il mostro si avvicina!
E Pinocchio, raccogliendo tutte le sue forze, raddoppiava di lena nella
corsa.
- Bada, Pinocchio!... il mostro ti raggiunge!... Eccolo!... Eccolo!...
Affréttati per carità, o sei perduto! ... E Pinocchio a nuotar più lesto
che mai, e via, e via, e via, come andrebbe una palla di fucile. E già
era presso lo scoglio, e già la Caprettina, spenzolandosi tutta sul
mare, gli porgeva le sue zampine davanti per aiutarlo a uscire
dall'acqua!
Ma oramai era tardi! Il mostro lo aveva raggiunto: il mostro, tirando il
fiato a sé, si bevve il povero burattino, come avrebbe bevuto un uovo di
gallina: e lo inghiottì con tanta violenza e con tanta avidità, che
Pinocchio, cascando giù in corpo al Pesce-cane, batté un colpo così
screanzato, da restarne sbalordito per un quarto d'ora.
Quando ritornò in sé da quello sbigottimento, non sapeva raccapezzarsi,
nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c'era da ogni parte un
gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere
entrato col capo in un calamaio pieno d'inchiostro. Stette in ascolto e
non senti nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi
nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva
intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai polmoni
del mostro. Perché bisogna sapere che il Pesce-cane soffriva moltissimo
d'asma, e quando respirava, pareva proprio che tirasse la tramontana.
Pinocchio, sulle prime, s'ingegnò di farsi un poco di coraggio: ma
quand'ebbe la prova e la riprova di trovarsi chiuso in corpo al mostro
marino allora cominciò a piangere e a strillare: e piangendo diceva: -
Aiuto! aiuto! Oh povero me! Non c'è nessuno che venga a salvarmi? - Chi
vuoi che ti salvi, disgraziato?... - disse in quel buio una vociaccia
fessa di chitarra scordata. - Chi è che parla così? - domandò Pinocchio,
sentendosi gelare dallo spavento. - Sono io! sono un povero Tonno,
inghiottito dal Pesce-cane insieme con te. E tu che pesce sei? - Io non
ho che vedere nulla coi pesci. Io sono un burattino. - E allora, se non
sei un pesce, perché ti sei fatto inghiottire dal mostro?
- Non son io, che mi son fatto inghiottire: gli è lui che mi ha
inghiottito! Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?... - Rassegnarsi
e aspettare che il Pesce-cane ci abbia digeriti tutt'e due!... - Ma io
non voglio esser digerito! - urlò Pinocchio, ricominciando a piangere.
- Neppure io vorrei esser digerito, - soggiunse il Tonno, - ma io sono
abbastanza filosofo e mi consolo pensando che, quando si nasce Tonni,
c'è più dignità a morir sott'acqua che sott'olio!... - Scioccherie! -
gridò Pinocchio. - La mia è un'opinione, - replicò il Tonno, - e le
opinioni, come dicono i Tonni politici, vanno rispettate! - Insomma...
io voglio andarmene di qui... io voglio fuggire... - Fuggi, se ti
riesce!... - È molto grosso questo Pesce-cane che ci ha inghiottiti? -
domandò il burattino. - Figùrati che il suo corpo è più lungo di un
chilometro, senza contare la coda. Nel tempo che facevano questa
conversazione al buio, parve a Pinocchio di veder lontan lontano una
specie di chiarore.
- Che cosa sarà mai quel lumicino lontano lontano? - disse Pinocchio.
- Sarà qualche nostro compagno di sventura, che aspetterà come noi il
momento di esser digerito!.... - Voglio andare a trovarlo. Non potrebbe
darsi il caso che fosse qualche vecchio pesce capace di insegnarmi la
strada per fuggire?
- Io te l'auguro di cuore, caro burattino. - Addio, Tonno. - Addio,
burattino; e buona fortuna. - Dove ci rivedremo?... - Chi lo sa?... È
meglio non pensarci neppure!
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Pinocchio ritrova in corpo al Pesce-cane... Chi
ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete.
Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse
brancolando in mezzo a quel buio, e cominciò a camminare a tastoni
dentro il corpo del Pesce-cane, avviandosi un passo dietro l'altro verso
quel piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano lontano.
E nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera
d'acqua grassa e sdrucciolona, e quell'acqua sapeva di un odore così
acuto di pesce fritto che gli pareva di essere a mezza quaresima.
E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto:
finché, cammina cammina, alla fine arrivò: |
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e quando fu arrivato... che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille:
trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa
infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un
vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, il
quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi,
che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca. A
quella vista il povero Pinocchio ebbe un'allegrezza così grande e così
inaspettata, che ci mancò un'ette non cadesse in delirio. Voleva ridere,
voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava
confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate.
Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioia e spalancando
le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare: -
Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più,
mai più, mai più! - Dunque gli occhi mi dicono il vero? - replicò il
vecchietto stropicciandosi gli occhi, - Dunque tu se' proprio il mi'
caro Pinocchio?
- Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete digià perdonato, non è
vero? Oh! babbino mio, come siete buono!... e pensare che io, invece...
Oh! ma se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose
mi son andate per traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero
babbino, col vendere la vostra casacca mi compraste l'Abbecedario per
andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinaio mi
voleva mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone arrosto, che fu
quello poi che mi dette cinque monete d'oro, perché le portassi a voi,
ma io trovai la Volpe e il Gatto, che mi condussero all'osteria del
Gambero Rosso dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte
incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro, e io via, e
loro dietro, e io via e loro sempre dietro, e io via, finché
m'impiccarono a un ramo della Quercia grande, dovecché la bella Bambina
dai capelli turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici,
quando m'ebbero visitato, dissero subito: "Se non è morto, è segno che è
sempre vivo", e allora mi scappò detto una bugia, e il naso cominciò a
crescermi e non mi passava più dalla porta di camera, motivo per cui
andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d'oro, che
una l'avevo spesa all'osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e
viceversa di duemila monete non trovai più nulla, la quale il giudice
quando seppe che ero stato derubato, mi fece subito mettere in prigione,
per dare una soddisfazione ai ladri, di dove, col venir via, vidi un bel
grappolo d'uva in un campo, che rimasi preso alla tagliola e il
contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perché facessi la
guardia al pollaio, che riconobbe la mia innocenza e mi lasciò andare, e
il Serpente, colla coda che gli fumava, cominciò a ridere e gli si
strappò una vena sul petto e così ritornai alla Casa della bella
Bambina, che era morta, e il Colombo vedendo che piangevo mi disse: "Ho
visto il tu' babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a
cercare", e io gli dissi: "Oh! se avessi l'ali anch'io", e lui mi disse:
"Vuoi venire dal tuo babbo? |
", e io gli dissi: "Magari! ma
chi mi ci porta", e lui mi disse: "Ti ci porto io", e io gli dissi:
"Come?", e lui mi disse: "Montami sulla groppa", e così abbiamo volato
tutta la notte, e poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso
il mare mi dissero: "C'è un pover'uomo in una barchetta che sta per
affogare", e io da lontano vi riconobbi subito, perché me lo diceva il
core, e vi feci cenno di tornare alla spiaggia... - Ti riconobbi
anch'io, - |
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disse Geppetto, - e sarei volentieri tornato alla spiaggia: ma come
fare? Il mare era grosso e un cavallone m'arrovesciò la barchetta.
Allora un orribile Pesce-cane che era lì vicino, appena m'ebbe visto
nell'acqua corse subito verso di me, e tirata fuori la lingua, mi prese
pari pari, e m'inghiottì come un tortellino di Bologna. - E quant'è che
siete chiuso qui dentro? - domandò Pinocchio. - Da quel giorno in poi,
saranno oramai due anni: due anni, Pinocchio mio, che mi son parsi due
secoli! - E come avete fatto a campare? E dove avete trovata la candela?
E i fiammiferi per accenderla, chi ve li ha dati? - Ora ti racconterò
tutto. Devi dunque sapere che quella medesima burrasca, che rovesciò la
mia barchetta, fece anche affondare un bastimento mercantile. I marinai
si salvarono tutti, ma il bastimento colò a fondo e il solito
Pesce-cane, che quel giorno aveva un appetito eccellente, dopo aver
inghiottito me, inghiottì anche il bastimento... - Come? Lo inghiottì
tutto in un boccone?... - domandò Pinocchio maravigliato. - Tutto in un
boccone: e risputò solamente l'albero maestro, perché gli era rimasto
fra i denti come una lisca. Per mia gran fortuna, quel bastimento era
carico di carne conservata in cassette di stagno, di biscotto, ossia di
pane abbrostolito, di bottiglie di vino, d'uva secca, di cacio, di caffè,
di zucchero, di candele steariche e di scatole di fiammiferi di cera.
Con tutta questa grazia di Dio ho potuto campare due anni: ma oggi sono
agli ultimi sgoccioli: oggi nella dispensa non c'è più nulla, e questa
candela, che vedi accesa, è l'ultima candela che mi sia rimasta...
- E dopo?... - E dopo, caro mio, rimarremo tutt'e due al buio.
- Allora, babbino mio, - disse Pinocchio, - non c'è tempo da perdere.
Bisogna pensar subito a fuggire... - A fuggire?... e come? - Scappando
dalla bocca del Pesce-cane e gettandosi a nuoto in mare. - Tu parli
bene: ma io, caro Pinocchio, non so nuotare.
- E che importa?... Voi mi monterete a cavalluccio sulle spalle e io,
che sono un buon nuotatore, vi porterò sano e salvo fino alla spiaggia.
- Illusioni, ragazzo mio! - replicò Geppetto, scotendo il capo e
sorridendo malinconicamente. - Ti par egli possibile che un burattino,
alto appena un metro, come sei tu, possa aver tanta forza da portarmi a
nuoto sulle spalle? - Provatevi e vedrete! A ogni modo, se sarà scritto
in cielo che dobbiamo morire, avremo almeno la gran consolazione di
morire abbracciati insieme.
E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la candela, e andando avanti
per far lume, disse al suo babbo: - Venite dietro a me, e non abbiate
paura. E così camminarono un bel pezzo, e traversarono tutto il corpo e
tutto lo stomaco del Pesce-cane. Ma giunti che furono al punto dove
cominciava la gran gola del mostro, pensarono bene di fermarsi per dare
un'occhiata e cogliere il momento opportuno alla fuga.
Ora bisogna sapere che il Pesce-cane, essendo molto vecchio e soffrendo
d'asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormir a bocca
aperta: per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e
guardando in su, poté vedere al di fuori di quell'enorme bocca
spalancata un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna.
- Questo è il vero momento di scappare, - bisbigliò allora voltandosi al
suo babbo. - Il Pescecane dorme come un ghiro: il mare è tranquillo e ci
si vede come di giorno. Venite dunque, babbino, dietro a me e fra poco
saremo salvi.
Detto fatto, salirono su per la gola del mostro marino, e arrivati in
quell'immensa bocca cominciarono a camminare in punta di piedi sulla
lingua; una lingua così larga e così lunga, che pareva il viottolone
d'un giardino. E già stavano lì lì per fare il gran salto e per gettarsi
a nuoto nel mare, quando, sul più bello, il Pesce-cane starnutì, e nello
starnutire, dette uno scossone così violento, che Pinocchio e Geppetto
si trovarono rimbalzati all'indietro e scaraventati novamente in fondo
allo stomaco del mostro.
Nel grand'urto della caduta la candela si spense, e padre e figliuolo
rimasero al buio.
- E ora?... - domandò Pinocchio facendosi serio. - Ora ragazzo mio,
siamo bell'e perduti.
- Perché perduti? Datemi la mano, babbino, e badate di non
sdrucciolare!...
- Dove mi conduci? - Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e non
abbiate paura.
Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre
in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi
traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti. Prima
però di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo: - Montatemi
a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci
penso io. Appena Geppetto si fu accomodato per bene sulle spalle del
figliuolo, Pinocchio, sicurissimo del fatto suo, si gettò nell'acqua e
cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna
splendeva in tutto il suo chiarore e il Pesce-cane seguitava a dormire
di un sonno così profondo, che non l'avrebbe svegliato nemmeno una
cannonata. |
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Finalmente Pinocchio cessa d'essere un burattino e
diventa un ragazzo. Mentre Pinocchio nuotava alla svelta
per raggiungere la spiaggia, si accorse che il suo babbo, il quale gli
stava a cavalluccio sulle spalle e aveva le gambe mezze nell'acqua,
tremava fitto fitto, come se al pover'uomo gli battesse la febbre
terzana. Tremava di freddo o di paura? Chi lo sa? Forse un po' dell'uno
e un po' dell'altro. Ma Pinocchio, credendo che quel tremito fosse di
paura, gli disse per confortarlo:
- Coraggio babbo! Fra pochi minuti arriveremo a terra e saremo salvi.
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- Ma dov'è questa spiaggia benedetta? - domandò il vecchietto diventando
sempre più inquieto, e appuntando gli occhi, come fanno i sarti quando
infilano l'ago. - Eccomi qui, che guardo da tutte le parti, e non vedo
altro che cielo e mare.
- Ma io vedo anche la spiaggia, - disse il burattino. - Per vostra
regola io sono come i gatti: ci vedo meglio di notte che di giorno. Il
povero Pinocchio faceva finta di essere di buonumore: ma invece...
Invece cominciava a scoraggiarsi: le forze gli scemavano, il suo respiro
diventava grosso e affannoso... insomma non ne poteva più, la spiaggia
era sempre lontana. Nuotò finché ebbe fiato: poi si voltò col capo verso
Geppetto, e disse con parole interrotte: - Babbo mio, aiutatemi...
perché io muoio! E il padre e il figliuolo erano oramai sul punto di
affogare, quando udirono una voce di chitarra scordata che disse:
- Chi è che muore? - Sono io e il mio povero babbo!...
- Questa voce la riconosco! Tu sei Pinocchio!...
- Preciso: e tu? - Io sono il Tonno, il tuo compagno di prigionia in
corpo al Pesce-cane.
- E come hai fatto a scappare? - Ho imitato il tuo esempio. Tu sei
quello che mi hai insegnato la strada, e dopo te, sono fuggito anch'io.
- Tonno mio, tu càpiti proprio a tempo! Ti prego per l'amor che porti ai
Tonnini tuoi figliuoli: aiutaci, o siamo perduti.
- Volentieri e con tutto il cuore. Attaccatevi tutt'e due alla mia coda,
e lasciatevi guidare. In quattro minuti vi condurrò alla riva. Geppetto
e Pinocchio, come potete immaginarvelo accettarono subito l'invito: ma
invece di attaccarsi alla coda, giudicarono più comodo di mettersi
addirittura a sedere sulla groppa del Tonno. - Siamo troppo pesi?... -
gli domandò Pinocchio. - Pesi? Neanche per ombra; mi par di avere
addosso due gusci di conchiglia, - rispose il Tonno, il quale era di una
corporatura così grossa e robusta, da parere un vitello di due anni.
Giunti alla riva, Pinocchio saltò a terra il primo, per aiutare il suo
babbo a fare altrettanto; poi si voltò al Tonno, e con voce commossa gli
disse:
- Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Dunque non ho parole per
ringraziarti abbastanza! Permetti almeno che ti dia un bacio in segno di
riconoscenza eterna!...
Il Tonno cacciò il muso fuori dall'acqua, e Pinocchio, piegandosi coi
ginocchi a terra, gli posò un affettuosissimo bacio sulla bocca. A
questo tratto di spontanea e vivissima tenerezza, il povero Tonno, che
non c'era avvezzo, si sentì talmente commosso, che vergognandosi a farsi
veder piangere come un bambino, ricacciò il capo sott'acqua e spari.
Intanto s'era fatto giorno. Allora Pinocchio, offrendo il suo braccio a
Geppetto, che aveva appena il fiato di reggersi in piedi, gli disse: -
Appoggiatevi pure al mio braccio, caro babbino, e andiamo. Cammineremo
pian pianino come le formicole, e quando saremo stanchi ci riposeremo
lungo la via. - E dove dobbiamo andare? - domandò Geppetto.
- In cerca di una casa o d'una capanna, dove ci diano per carità un
boccon di pane e un po' di paglia che ci serva da letto. Non avevano
ancora fatti cento passi, che videro seduti sul ciglione della strada
due brutti ceffi, i quali stavano lì in atto di chiedere l'elemosina.
Erano il Gatto e la Volpe: ma non si riconoscevano più da quelli d'una
volta. Figuratevi che il Gatto, a furia di fingersi cieco, aveva finito
coll'accecare davvero: e la Volpe invecchiata, intignata e tutta perduta
da una parte, non aveva più nemmeno la coda. Così è. Quella trista
ladracchiola, caduta nella più squallida miseria, si trovò costretta un
bel giorno a vendere perfino la sua bellissima coda a un merciaio
ambulante, che la comprò per farsene uno scacciamosche. |
- O Pinocchio, - gridò la Volpe con voce di piagnisteo, - fai un po' di
carità a questi due poveri infermi. - Infermi! - ripeté il Gatto. -
Addio, mascherine! - rispose il burattino. - Mi avete ingannato una
volta, e ora non mi ripigliate più.
- Credilo, Pinocchio, che oggi siamo poveri e disgraziati davvero!
- Davvero! - ripeté il Gatto. - Se siete poveri, ve lo meritate.
Ricordatevi del proverbio che dice: "I quattrini rubati non fanno mai
frutto". Addio, mascherine! - Abbi compassione di noi!... - Di noi!... -
Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: "La farina del
diavolo va tutta in crusca". - Non ci abbandonare!... - ...are! - ripeté
il Gatto. - Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: "Chi
ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza camicia". E
così dicendo, Pinocchio e Geppetto seguitarono tranquillamente per la
loro strada: finché, fatti altri cento passi, videro in fondo a una
viottola in mezzo ai campi una bella capanna tutta di paglia, e col
tetto coperto d'embrici e di mattoni. |
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- Quella capanna dev'essere abitata da qualcuno, - disse Pinocchio. -
Andiamo là e bussiamo. Difatti andarono, e bussarono alla porta.
- Chi è? - disse una vocina di dentro. - Siamo un povero babbo e un
povero figliuolo, senza pane e senza tetto, - rispose il burattino. -
Girate la chiave, e la porta si aprirà, - disse la solita vocina.
Pinocchio girò la chiave, e la porta si apri. Appena entrati dentro,
guardarono di qua, guardarono di là, e non videro nessuno.
- O il padrone della capanna dov'è? - disse Pinocchio maravigliato.
- Eccomi quassù! Babbo e figliuolo si voltarono subito verso il
soffitto, e videro sopra un travicello il Grillo-parlante - Oh! mio caro
Grillino, - disse Pinocchio salutandolo garbatamente. - Ora mi chiami il
"tuo caro Grillino", non è vero? Ma ti rammenti di quando, per
scacciarmi di casa tua, mi tirasti un martello di legno?...
- Hai ragione, Grillino! Scaccia anche me... tira anche a me un martello
di legno: ma abbi pietà del mio povero babbo... - Io avrò pietà del
babbo e anche del figliuolo: ma ho voluto rammentarti il brutto garbo
ricevuto, per insegnarti che in questo mondo, quando si può, bisogna
mostrarsi cortesi con tutti, se vogliamo esser ricambiati con pari
cortesia nei giorni del bisogno. - Hai ragione, Grillino, hai ragione da
vendere e io terrò a mente la lezione che mi hai data. Ma mi dici come
hai fatto a comprarti questa bella capanna?
- Questa capanna mi è stata regalata ieri da una graziosa capra, che
aveva la lana d'un bellissimo colore turchino. - E la capra dov'è
andata? - - Non lo so.
- E quando ritornerà?... - domandò Pinocchio, con vivissima curiosità.
- Non ritornerà mai. Ieri è partita tutta afflitta, e, belando, pareva
che dicesse: "Povero Pinocchio... oramai non lo rivedrò più... il
Pesce-cane a quest'ora l'avrà bell'e divorato!...".
- Ha detto proprio così?... Dunque era lei!... era lei!... era la mia
cara Fatina!... - cominciò a urlare Pinocchio, singhiozzando e piangendo
dirottamente.
Quand'ebbe pianto ben bene, si rasciugò gli occhi e, preparato un buon
lettino di paglia, vi distese sopra il vecchio Geppetto. Poi domandò al
Grillo-parlante:
- Dimmi, Grillino: dove potrei trovare un bicchiere di latte per il mio
povero babbo?
- Tre campi distante di qui c'è l'ortolano Giangio, che tiene le mucche.
Va' da lui e troverai il latte, che cerchi. Pinocchio andò di corsa a
casa dell'ortolano Giangio; ma l'ortolano gli disse: - Quanto ne vuoi
del latte? - Ne voglio un bicchiere pieno.
- Un bicchiere di latte costa un soldo. Comincia intanto dal darmi il
soldo.
- Non ho nemmeno un centesimo, - rispose Pinocchio tutto mortificato e
dolente.
- Male, burattino mio, - replicò l'ortolano. - Se tu non hai nemmeno un
centesimo, io non ho nemmeno un dito di latte. - Pazienza! - disse
Pinocchio e fece l'atto di andarsene.
- Aspetta un po', - disse Giangio. - Fra te e me ci possiamo accomodare.
Vuoi adattarti a girare il bindolo? - Che cos'è il bindolo? - Gli è
quell'ordigno di legno, che serve a tirar su l'acqua dalla cisterna, per
annaffiare gli ortaggi. - Mi proverò...
- Dunque, tirami su cento secchie d'acqua e io ti regalerò in compenso
un bicchiere di latte. - Sta bene. Giangio condusse il burattino
nell'orto e gl'insegnò la maniera di girare il bindolo. Pinocchio si
pose subito al lavoro; ma prima di aver tirato su le cento secchie
d'acqua, era tutto grondante di sudore dalla testa ai piedi. Una fatica
a quel modo non l'aveva durata mai. - Finora questa fatica di girare il
bindolo, - disse l'ortolano, - l'ho fatta fare al mio ciuchino: ma oggi
quel povero animale è in fin di vita. - Mi menate a vederlo? - disse
Pinocchio. - Volentieri. Appena che Pinocchio fu entrato nella stalla
vide un bel ciuchino disteso sulla paglia, rifinito dalla fame e dal
troppo lavoro.
Quando l'ebbe guardato fisso fisso, disse dentro di sé, turbandosi:
- Eppure quel ciuchino lo conosco! Non mi è fisonomia nuova! E chinatosi
fino a lui, gli domandò in dialetto asinino: - Chi sei? A questa
domanda, il ciuchino apri gli occhi moribondi, e rispose balbettando nel
medesimo dialetto: - Sono Lu...ci...gno...lo.
E dopo richiuse gli occhi e spirò. - Oh! povero Lucignolo! - disse
Pinocchio a mezza voce: e presa una manciata di paglia, si rasciugò una
lacrima che gli colava giù per il viso.
- Ti commovi tanto per un asino che non ti costa nulla? - disse
l'ortolano. - Che cosa dovrei far io che lo comprai a quattrini
contanti? - Vi dirò... era un mio amico!...
- Tuo amico? - Un mio compagno di scuola!... - Come?! - urlò Giangio
dando in una gran risata. - Come?! avevi dei somari per compagni di
scuola!... Figuriamoci i belli studi che devi aver fatto!... Il
burattino, sentendosi mortificato da quelle parole, non rispose: ma
prese il suo bicchiere di latte quasi caldo, e se ne tornò alla capanna.
E da quel giorno in poi, continuò più di cinque mesi a levarsi ogni
mattina, prima dell'alba, per andare a girare il bindolo, e guadagnare
così quel bicchiere di latte, che faceva tanto bene alla salute
cagionosa del suo babbo. Né si contentò di questo: perché a tempo
avanzato, imparò a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco: e
coi quattrini che ne ricavava, provvedeva con moltissimo giudizio a
tutte le spese giornaliere. Fra le altre cose, costruì da sé stesso un
elegante carrettino per condurre a spasso il suo babbo alle belle
giornate, e per fargli prendere una boccata d'aria. Nelle veglie poi
della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nel
vicino paese per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il
frontespizio e l'indice, e con quello faceva la sua lettura. Quanto allo
scrivere, si serviva di un fuscello temperato a uso penna; e non avendo
né calamaio né inchiostro, lo intingeva in una boccettina ripiena di
sugo di more e di ciliege. Fatto sta, che con la sua buona volontà
d'ingegnarsi, di lavorare e di tirarsi avanti, non solo era riuscito a
mantenere quasi agiatamente il suo genitore sempre malaticcio, ma per di
più aveva potuto mettere da parte anche quaranta soldi per comprarsi un
vestitino nuovo. Una mattina disse a suo padre:
- Vado qui al mercato vicino, a comprarmi una giacchettina, un
berrettino e un paio di scarpe. Quando tornerò a casa, - soggiunse
ridendo, - sarò vestito così bene, che mi scambierete per un gran
signore. E uscito di casa, cominciò a correre tutto allegro e contento.
Quando a un tratto sentì chiamarsi per nome: e voltandosi, vide una
bella Lumaca che sbucava fuori della siepe. - Non mi riconosci? - disse
la Lumaca.
- Mi pare e non mi pare... - Non ti ricordi di quella Lumaca, che stava
per cameriera con la Fata dai capelli turchini? Non ti rammenti di
quella volta, quando scesi a farti lume e che tu rimanesti con un piede
confitto nell'uscio di casa? - Mi rammento di tutto, - gridò Pinocchio.
- Rispondimi subito, Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona
Fata? che fa? mi ha perdonato? si ricorda sempre di me? mi vuol sempre
bene? è molto lontana da qui? potrei andare a trovarla? A tutte queste
domande fatte precipitosamente e senza ripigliar fiato, la Lumaca
rispose con la sua solita flemma: - Pinocchio mio! La povera Fata giace
in un fondo di letto allo spedale!... - Allo spedale?...
- Pur troppo! Colpita da mille disgrazie, si è gravemente ammalata e non
ha più da comprarsi un boccon di pane. - Davvero?... Oh! che gran dolore
che mi hai dato! Oh! povera Fatina! povera Fatina! povera Fatina!... Se
avessi un milione, correrei a portarglielo... Ma io non ho che quaranta
soldi... eccoli qui: andavo giusto a comprarmi un vestito nuovo.
Prendili, Lumaca, e va' a portarli subito alla mia buona Fata.
- E il tuo vestito nuovo?... - Che m'importa del vestito nuovo? Venderei
anche questi cenci che ho addosso, per poterla aiutare! Va', Lumaca,
spìcciati: e fra due giorni ritorna qui, che spero di poterti dare
qualche altro soldo. Finora ho lavorato per mantenere il mio babbo: da
oggi in là, lavorerò cinque ore di più per mantenere anche la mia buona
mamma. Addio, Lumaca, e fra due giorni ti aspetto. La Lumaca, contro il
suo costume, cominciò a correre come una lucertola nei grandi solleoni
d'agosto.
Quando Pinocchio tornò a casa, il suo babbo gli domandò: - E il vestito
nuovo?
- Non m'è stato possibile di trovarne uno che mi tornasse bene.
Pazienza!... Lo comprerò un'altra volta. Quella sera Pinocchio, invece
di vegliare flno alle dieci, vegliò fino alla mezzanotte suonata; e
invece di far otto canestre di giunco ne fece sedici.
Poi andò a letto e si addormentò. E nel dormire, gli parve di vedere in
sogno la Fata, tutta bella e sorridente, la quale, dopo avergli dato un
bacio, gli disse così.
- Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono tutte le
monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono
amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro
infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto, anche se non
possono esser citati come modelli d'ubbidienza e di buona condotta.
Metti giudizio per l'avvenire, e sarai felice. A questo punto il sogno
finì, e Pinocchio si svegliò con tanto d'occhi spalancati. Ora
immaginatevi voi quale fu la sua maraviglia quando, svegliandosi, si
accorse che non era più un burattino di legno: ma che era diventato,
invece, un ragazzo come tutti gli altri. Dette un'occhiata all'intorno e
invece delle solite pareti di paglia della capanna, vide una bella
camerina ammobiliata e agghindata con una semplicità quasi elegante.
Saltando giù dal letto, trovò preparato un bel vestiario nuovo, un
berretto nuovo e un paio di stivaletti di pelle, che gli tornavano una
vera pittura.
Appena si fu vestito gli venne fatto naturalmente di mettere la mani
nelle tasche e tirò fuori un piccolo portamonete d'avorio, sul quale
erano scritte queste parole: « La Fata dai capelli turchini restituisce
al suo caro Pinocchio i quaranta soldi e lo ringrazia tanto del suo buon
cuore ». Aperto il portamonete, invece dei quaranta soldi di rame, vi
luccicavano quaranta zecchini d'oro, tutti nuovi di zecca. Dopo andò a
guardarsi allo specchio, e gli parve d'essere un altro. Non vide più
riflessa la solita immagine della marionetta di legno, ma vide
l'immagine vispa e intelligente di un bel fanciullo coi capelli
castagni, cogli occhi celesti e con un'aria allegra e festosa come una
pasqua di rose.
In mezzo a tutte queste meraviglie, che si succedevano le une alle
altre, Pinocchio non sapeva più nemmeno lui se era desto davvero o se
sognava sempre a occhi aperti.
- E il mio babbo dov'è? - gridò tutt'a un tratto: ed entrato nella
stanza accanto trovò il vecchio Geppetto sano, arzillo e di buonumore,
come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione
d'intagliatore in legno, stava appunto disegnando una bellissima cornice
ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali.
- Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo
cambiamento improvviso? - gli domandò Pinocchio saltandogli al collo e
coprendolo di baci.
- Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo, -
disse Geppetto.
- Perché merito mio?... - Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano
buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente
anche all'interno delle loro famiglie.
- E il vecchio Pinocchio di legno dove si sarà nascosto?
- Eccolo là, - rispose Geppetto; e gli accennò un grosso burattino
appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia
ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere
un miracolo se stava ritto.
Pinocchio si voltò a guardarlo; e dopo che l'ebbe guardato un poco,
disse dentro di sé con grandissima compiacenza: - Com'ero buffo,
quand'ero un burattino!... e come ora son contento di essere diventato
un ragazzino perbene!...
FINE. |
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