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Pinocchio ha fame, e cerca un uovo per farsi una
frittata; ma sul più bello, la frittata gli vola via dalla finestra.
Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, ricordandosi che non aveva
mangiato nulla, senti un'uggiolina allo stomaco, che somigliava
moltissimo all'appetito.
Ma l'appetito nei ragazzi cammina presto; e di fatti dopo pochi minuti
l'appetito diventò fame, e la fame, dal vedere al non vedere, si
converti in una fame da lupi, una fame da tagliarsi col coltello.
Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c'era una pentola che
bolliva e fece l'atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse
dentro, ma la pentola era dipinta sul muro. Figuratevi come restò. Il
suo naso, che era già lungo, gli diventò più lungo almeno quattro dita.
Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per tutte le
cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po' di pane, |
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magari un po' di pan secco, un crosterello,
un osso avanzato al cane, un po' di polenta muffita, una lisca di pesce,
un nocciolo di ciliegia, insomma di qualche cosa da masticare: ma non
trovò nulla, il gran nulla, proprio nulla.
E intanto la fame cresceva, e cresceva sempre: e il povero Pinocchio non
aveva altro sollievo che quello di sbadigliare: e faceva degli sbadigli
così lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi.
E dopo avere sbadigliato, sputava, e sentiva che lo stomaco gli andava
via.
Allora piangendo e disperandosi, diceva:
- Il Grillo-parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio
babbo e a fuggire di casa... Se il mio babbo fosse qui, ora non mi
troverei a morire di sbadigli! Oh! che brutta malattia che è la fame!
Quand'ecco gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa
di tondo e di bianco, che somigliava tutto a un uovo di gallina.
Spiccare un salto e gettarvisi sopra, fu un punto solo. Era un uovo
davvero.
La gioia del burattino è impossibile descriverla: bisogna sapersela
figurare. Credendo quasi che fosse un sogno, si rigirava quest'uovo fra
le mani, e lo toccava e lo baciava, e baciandolo diceva:
- E ora come dovrò cuocerlo? Ne farò una frittata?... No, è meglio
cuocerlo nel piatto!... O non sarebbe più saporito se lo friggessi in
padella? O se invece lo cuocessi a uso uovo da bere? No, la più lesta di
tutte è di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppa voglia di
mangiarmelo! Detto fatto, pose un tegamino sopra un caldano pieno di
brace accesa: messe nel tegamino, invece d'olio o di burro, un po'
d'acqua: e quando l'acqua principiò a fumare, tac!;.. spezzò il guscio
dell'uovo, e fece l'atto di scodellarvelo dentro.
Ma invece della chiara e del torlo, scappò fuori un pulcino tutto
allegro e complimentoso, il quale, facendo una bella riverenza, disse:
- Mille grazie, signor Pinocchio, d'avermi risparmiata la fatica di
rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa!
Ciò detto distese le ali e, infilata la finestra che era aperta, se ne
volò via a perdita d'occhio.
Il povero burattino rimase lì, come incantato, cogli occhi fissi, colla
bocca aperta e coi gusci dell'uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal
primo sbigottimento, cominciò a piangere, a strillare, a battere i piedi
in terra, per la disperazione, e piangendo diceva:
- Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa
e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame! Oh!
che brutta malattia che è la fame!...
E perché il corpo gli seguitava a brontolare più che mai, e non sapeva
come fare a chetarlo, pensò di uscir di casa e di dare una scappata al
paesello vicino, nella speranza di trovare qualche persona caritatevole
che gli avesse fatto l'elemosina di un po' di pane.
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Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e
la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati.
Per l'appunto era una nottataccia d'inferno. Tuonava forte forte,
lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e
strapazzone, fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di
polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna.
Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi: se non che la fame
era più forte della paura: motivo per cui accostò l'uscio di casa, e
presa la carriera, in un centinaio di salti arrivò fino al paese, colla
lingua fuori e col fiato grosso, come un cane da caccia.
Ma trova tutto buio e tutto deserto. |
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Le botteghe erano chiuse; le porte di casa chiuse; le finestre chiuse; e
nella strada nemmeno un cane. Pareva il paese dei morti.
Allora Pinocchio, preso dalla disperazione e dalla fame, si attaccò al
campanello d'una casa, e cominciò a suonare a distesa, dicendo dentro di
sé:
- Qualcuno si affaccierà.
Difatti si affacciò un vecchino, col berretto da notte in capo, il quale
gridò tutto stizzito:
- Che cosa volete a quest'ora?
- Che mi fareste il piacere di darmi un po' di pane?
- Aspettami costì che torno subito, - rispose il vecchino, credendo di
aver da fare con qualcuno di quei ragazzacci rompicollo che si divertono
di notte a suonare i campanelli delle case, per molestare la gente per
bene, che se la dorme tranquillamente.
Dopo mezzo minuto la finestra si riaprì e la voce del solito vecchino
gridò a Pinocchio:
- Fatti sotto e para il cappello.
Pinocchio si levò subito il suo cappelluccio; ma mentre faceva l'atto di
pararlo, sentì pioversi addosso un'enorme catinellata d'acqua che lo
annaffiò tutto dalla testa ai piedi, come se fosse un vaso di giranio
appassito.
Tornò a casa bagnato come un pulcino e rifinito dalla stanchezza e dalla
fame e perché non aveva più forza di reggersi ritto, si pose a sedere,
appoggiando i piedi fradici e impillaccherati sopra un caldano pieno di
brace accesa.
E lì si addormentò; e nel dormire, i piedi che erano di legno, gli
presero fuoco e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono
cenere.
E Pinocchio seguitava a dormire e a russare, come se i suoi piedi
fossero quelli d'un altro. Finalmente sul far del giorno si svegliò,
perché qualcuno aveva bussato alla porta.
- Chi è? - domandò sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.
- Sono io, - rispose una voce.
Quella voce era la voce di Geppetto.
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Geppetto torna a casa, rifà i piedi al burattino e
gli dà la colazione che il pover'uomo aveva portata con sé.
Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il sonno, non s'era
ancora avvisto dei piedi, che gli si erano tutti bruciati: per cui
appena sentì la voce di suo padre, schizzò giù dallo sgabello per
correre a tirare il paletto; ma invece, dopo due o tre traballoni, cadde
di picchio tutto lungo disteso sul pavimento.
E nel battere in terra fece lo stesso rumore, che avrebbe fatto un sacco
di mestoli. cascato da un quinto piano.
- Aprimi! - intanto gridava Geppetto dalla strada.
- Babbo mio, non posso, - rispondeva il burattino piangendo e
ruzzolandosi per terra.
- Perché non puoi?
- Perché mi hanno mangiato i piedi.
- E chi te li ha mangiati?
- Il gatto, - disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampine
davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno. |
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- Aprimi, ti dico! - ripeté Geppetto, - se no quando vengo in casa, il
gatto te lo do io!
- Non posso star ritto, credetelo. O povero me! povero me che mi
toccherà a camminare coi ginocchi per tutta la vita!...
Geppetto, credendo che tutti questi piagnistei fossero un'altra
monelleria del burattino, pensò bene di farla finita, e arrampicatosi su
per il muro, entrò in casa dalla finestra.
Da principio voleva dire e voleva fare: ma poi quando vide il suo
Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sentì
intenerirsi; e presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli
mille carezze e mille moine, e, coi luccioloni che gli cascavano giù per
le gote, gli disse singhiozzando: - Pinocchiuccio mio! Com'è che ti sei
bruciato i piedi?
- Non lo so, babbo, ma credetelo che è stata una nottata d'inferno e me
ne ricorderò fin che campo. Tonava, balenava e io avevo una gran fame e
allora il Grillo-parlante mi disse: ``Ti sta bene; sei stato cattivo, e
te lo meriti'', e io gli dissi: ``Bada, Grillo!...'', e lui mi disse:
``Tu sei un burattino e hai la testa di legno'' e io gli tirai un
martello di legno, e lui morì ma la colpa fu sua, perché io non volevo
ammazzarlo, prova ne sia che messi un tegamino sulla brace accesa del
caldano, ma il pulcino scappò fuori e disse: ``Arrivedella... e tanti
saluti a casa'' e la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino
col berretto da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: ``Fatti
sotto e para il cappello'' e io con quella catinellata d'acqua sul capo,
perché il chiedere un po' di pane non è vergogna, non è vero? me ne
tornai subito a casa, e perché avevo sempre una gran fame, messi i piedi
sul caldano per rasciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati
bruciati, e intanto la fame l'ho sempre e i piedi non li ho più! Ih!...
ih!... ih!... ih!...
E il povero Pinocchio cominciò a piangere e a berciare così forte, che
lo sentivano da cinque chilometri lontano.
Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una cosa
sola, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori
di tasca tre pere, e porgendogliele, disse: - Queste tre pere erano per
la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti
faccia. - Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
- Sbucciarle? - replicò Geppetto meravigliato.
- Non avrei mai creduto, ragazzo, mio, che tu fossi così boccuccia e
così schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini,
bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiare di tutto, perché non si
sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!...
- Voi direte bene, - soggiunse Pinocchio, - ma io non mangerò mai una
frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire.
E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di
santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un
angolo della tavola.
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l'atto
di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio,
dicendogli:
- Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo.
- Ma io il torsolo non lo mangio davvero!... - gridò il burattino,
rivoltandosi come una vipera.
- Chi lo sa! I casi son tanti!... - ripeté Geppetto, senza riscaldarsi.
Fatto sta che i tre torsoli, invece di essere gettati fuori dalla
finestra, vennero posati sull'angolo della tavola in compagnia delle
bucce.
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un
lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando: - Ho dell'altra fame!
- Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti.
- Proprio nulla, nulla?
- Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera.
- Pazienza! - disse Pinocchio, - se non c'è altro, mangerò una buccia.
E cominciò a masticare. Da principio storse un po' la bocca; ma poi, una
dietro l'altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce,
anche i torsoli, e quand'ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batté
tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:
- Ora sì che sto bene!
- Vedi dunque, - osservò Geppetto, - che avevo ragione io quando ti
dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati
di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo
mondo. I casi son tanti!...
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Geppetto rifa i piedi a Pinocchio e vende la
propria casacca per comprargli l'Abbecedario.
Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a
bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi.
Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta lo lasciò piangere e
disperarsi per una mezza giornata: poi gli disse:
- E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da
casa tua?
- Vi prometto, - disse il burattino singhiozzando, - che da oggi in poi
sarò buono...
- Tutti i ragazzi, - replicò Geppetto, - quando vogliono ottenere
qualcosa, dicono così.
- Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore...
- Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la
medesima storia.
- Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più buono di tutti e
dico sempre la verità. Vi prometto, babbo, che imparerò un'arte e che
sarò la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia. Geppetto che,
sebbene facesse il viso di tiranno, aveva gli occhi pieni di pianto e il
cuore grosso dalla passione di vedere il suo povero Pinocchio in quello
stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli
arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a
lavorare di grandissimo impegno.
E in meno d'un'ora, i piedi erano bell'e fatti; due piedini svelti,
asciutti e nervosi, come se fossero modellati da un artista di genio.
Allora Geppetto disse al burattino: - Chiudi gli occhi e dormi!
E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che si
fingeva addormentato, Geppetto con un po' di colla sciolta in un guscio
d'uovo gli appiccicò i due piedi al loro posto, e glieli appiccicò così
bene, che non si vedeva nemmeno il segno dell'attaccatura. Appena il
burattino si accorse di avere i piedi, saltò giù dalla tavola dove stava
disteso, e principiò a fare mille sgambetti e mille capriole, come se
fosse ammattito dalla gran contentezza. - Per ricompensarvi di quanto
avete fatto per me, - disse Pinocchio al suo babbo, - voglio subito
andare a scuola.
- Bravo ragazzo! - Ma per andare a scuola ho bisogno d'un po' di
vestito.
Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli
fece allora un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza
di albero e un berrettino di midolla di pane. Pinocchio corse subito a
specchiarsi in una catinella piena d'acqua e rimase così contento di sé,
che disse pavoneggiandosi:
- Paio proprio un signore! - Davvero, - replicò Geppetto, - perché,
tienlo a mente, non è il vestito bello che fa il signore. ma è piuttosto
il vestito pulito.
- A proposito, - soggiunse il burattino, - per andare alla scuola mi
manca sempre qualcosa: anzi mi manca il più e il meglio.
- Cioè? - Mi manca l'Abbecedario. - Hai ragione: ma come si fa per
averlo?
- È facilissimo: si va da un libraio e si compra. - E i quattrini? - Io
non ce l'ho.
- Nemmeno io, - soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo.
E Pinocchio, sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece tristo anche
lui: perché la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti:
anche i ragazzi.
- Pazienza! - gridò Geppetto tutt'a un tratto rizzandosi in piedi; e
infilatasi la vecchia casacca di fustagno, tutta toppe e rimendi, uscì
correndo di casa.
Dopo poco tornò: e quando tornò aveva in mano l'Abbecedario per il
figliuolo, ma la casacca non l'aveva più. Il pover'uomo era in maniche
di camicia, e fuori nevicava.
- E la casacca, babbo? - L'ho venduta. - Perché l'avete venduta? -
Perché mi faceva caldo.
Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l'impeto
del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per
tutto il viso.
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Pinocchio vende l'Abbecedario per andare a vedere
il teatrino dei burattini.
Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo
sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada
facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille
castelli in aria, uno più bello dell'altro.
E discorrendo da sé solo diceva:
- Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi
imparerò a scrivere e domani l'altro imparerò a fare i numeri. Poi,
colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che
mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca
di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d'argento e
d'oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover'uomo se la merita
davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è
rimasto in maniche di camicia... a questi freddi! Non ci sono che i
babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!...
Mentre tutto commosso diceva così gli parve di sentire in lontananza una
musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì pì pì zum, zum, zum, zum.
Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una
lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto
fabbricato sulla spiaggia del mare.
- Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se
no...
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione:
o a scuola, o a sentire i pifferi. - Oggi anderò a sentire i pifferi, e
domani a scuola: per andare a scuola c'è sempre tempo, - disse
finalmente quel monello facendo una spallucciata.
Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a
gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei
tonfi della grancassa: pì pì pì.. zum, zum, zum, zum. Quand'ecco che si
trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava
intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.
- Che cos'è quel baraccone? - domandò Pinocchio, voltandosi a un
ragazzetto che era lì del paese. - Leggi il cartello, che c'è scritto, e
lo saprai.
- Lo leggerei volentieri, ma per l'appunto oggi non so leggere.
- Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello
a lettere rosse come il fuoco c'è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI...
- È molto che è incominciata la commedia?
- Comincia ora. - E quanto si spende per entrare?
- Quattro soldi. Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità,
perse ogni ritegno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto, col quale
parlava:
- Mi daresti quattro soldi fino a domani?
- Te li darei volentieri, - gli rispose l'altro canzonandolo, - ma oggi
per l'appunto non te li posso dare. - Per quattro soldi, ti vendo la mia
giacchetta, - gli disse allora il burattino.
- Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove
su, non c'è più verso di cavartela da dosso. - Vuoi comprare le mie
scarpe?
- Sono buone per accendere il fuoco. - Quanto mi dài del berretto?
- Bell'acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C'è il caso che
i topi me lo vengano a mangiare in capo!
Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare un'ultima offerta: ma
non aveva coraggio; esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:
- Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?
- Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi, - gli rispose il
suo piccolo interlocutore, che aveva molto più giudizio di lui.
- Per quattro soldi l'Abbecedario lo prendo io, - gridò un rivenditore
di panni usati, che s'era trovato presente alla conversazione.
E il libro fu venduto lì sui due piedi. E pensare che quel pover'uomo di
Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia,
per comprare l'Abbecedario al figliuolo!
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I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio
e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il
burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta
fine.
Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto
che destò mezza rivoluzione.
Bisogna sapere che il sipario era tirato su e la commedia era già
incominciata.
Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra
di loro e, secondo il solito, minacciavano da un momento all'altro di
scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate.
La platea, tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel
sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si
trattavano d'ogni vitupero con tanta verità, come se fossero proprio due
animali ragionevoli e due persone di questo mondo.
Quando all'improvviso, che è che non è, Arlec chino smette di recitare,
e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo
alla platea, comincia a urlare in tono drammatico:
- Numi del firmamento! sogno o son desto?
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Eppure quello laggiù è Pinocchio!... - È Pinocchio davvero! - grida
Pulcinella.
- È: proprio lui! - strilla la signora Rosaura, facendo capolino di
fondo alla scena.
- È: Pinocchio! è Pinocchio! - urlano in coro tutti i burattini, uscendo
a salti fuori delle quinte. È Pinocchio! È il nostro fratello Pinocchio!
Evviva Pinocchio.
- Pinocchio, vieni quassù da me, - grida Arlecchino, - vieni a gettarti
fra le braccia dei tuoi fratelli di legno! A questo affettuoso invito
Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla platea va nei posti distinti;
poi con un altro salto, dai posti distinti monta sulla testa del
direttore d'orchestra, e di lì schizza sul palcoscenico.
È: impossibile figurarsi gli abbracciamenti, gli strizzoni di collo, i
pizzicotti dell'amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza,
che Pinocchio ricevé in mezzo a tanto arruffio dagli attori e dalle
attrici di quella compagnia drammatico-vegetale.
Questo spettacolo era commovente, non c'è che dire: ma il pubblico della
platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s'impazientì e
prese a gridare:
- Vogliamo la commedia, vogliamo la commedia!
Tutto fiato buttato via, perché i burattini, invece di continuare la
recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, postosi Pinocchio sulle
spalle, se lo portarono in trionfo davanti ai lumi della ribalta. Allora
uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura
soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio
d'inchiostro, e tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra:
basta dire che, quando camminava, se la pestava coi piedi. La sua bocca
era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro
rosso, col lume acceso di dietro, e con le mani faceva schioccare una
grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate
insieme.
All'apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti: nessuno
fiatò più. Si sarebbe sentito volare una mosca. Quei poveri burattini,
maschi e femmine, tremavano tutti come tante foglie. - Perché sei venuto
a mettere lo scompiglio nel mio teatro? - domandò il burattinaio a
Pinocchio, con un vocione d'Orco gravemente infreddato di testa.
- La creda, illustrissimo, che la colpa non è stata mia!...
- Basta così! Stasera faremo i nostri conti.
Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio andò in cucina,
dov'egli s'era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente
infilato nello spiedo. E perché gli mancavano la legna per finirlo di
cuocere e di rosolare, chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse loro: -
Portatemi di qua quel burattino che troverete attaccato al chiodo. Mi
pare un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che,
a buttarlo sul fuoco, mi darà una bellissima fiammata all'arrosto.
Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da
un'occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e dopo poco tornarono in
cucina, portando sulle braccia il povero Pinocchio, il quale,
divincolandosi come un'anguilla fuori dell'acqua, strillava
disperatamente: - Babbo mio, salvatemi! Non voglio morire, non voglio
morire!...
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