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II cosiddetto marchese di Carabas, senza sapere come
sarebbe andata a finire, obbedì al suo Gatto, il quale, appena vide spuntare di lontano
la carrozza del re, si mise a gridare a squarciagola: « Aiuto, aiuto, Ì1 signor marchese di Carabas sta per annegare! »
A queste grida il re sporse la testa dallo sportello e, riconoscendo il Gatto che gli aveva portato tante volte della
selvaggina, si affrettò a ordinare alle sue guardie di andare in aiuto del signor marchese di
Carabas. Mentre tiravano a riva il povero marchese, il Gatto si avvicinò alla carrozza e disse al rè che i ladri avevano
portato via i vestiti del suo padrone mentre faceva il bagno, sebbene egli avesse gridato « al ladro! »
a pieni polmoni. Invece il birbante li aveva nascosti sotto una pietra. Il re si affrettò a ordinare agli ufficiali
del suo guardaroba di andare immediatamente a cercare uno dei suoi abiti più belli per il signor
marchese di Carabas. Dopo di che fece al marchese un mucchio di moine, e, poiché i begli abiti che gli avevano dato
mettevano in evi- denza la sua figura (il giovanetto era bello e ben fatto), la figlia del re
lo trovò molto di suo gusto, e non appena il marchese di Carabas le ebbe lanciato due o tre occhiate molto rispettose e |
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un
po' tenere, se ne innamorò alla follia. Il re volle che salisse in carrozza e lo
accompagnasse nella passeggiata.
Felice di vedere che i suoi piani cominciavano a prendere consistenza, il
Gatto precedeva la comitiva, e scorgendo i contadini che falciavano un prato, disse loro:
« Brava gente, se non direte al re che il prato che falciate appartiene al signor marchese di Carabas, sarete tagliati a pezzettini come carne
da salsiccia. » II re domandò infatti ai falciatori a chi appartenesse quel prato, ed
essi risposero in coro: « Al signor marchese di Carabas. » Perché la minaccia del Gatto li
aveva impauriti. « È un bel terreno, »
disse il re al marchese di Carabas. « Non c'è male, » rispose il marchese,
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«.questo prato da sempre una
buona rendita. » II Gatto, che continuava a precederli, incontrò dei mietitori e disse
loro: « Brava gente, se non dite al re che tutto questo grano appartiene al signor marchese di Carabas, sarete tagliati a pezzettini come
carne da salsiccia. » Poco dopo passò il re e volle sapere a chi apparteneva quel grano.
« Al signor marchese di Carabas, » risposero i mietitori, e il re se ne rallegrò ancora col marchese. Il Gatto, che
marciava avanti alla car- rozza, diceva la stessa cosa a tutti quelli che incontrava, e il re si mera-
vigliava degli enormi possedimenti del marchese di Carabas. Mastro Gatto giunse infine a un bei castello il cui
padrone era un orco, il più ricco che si fosse mai visto, perche tutte le terre per cui era
passato il re dipendevano da lui. Essendosi già informato sul conto suo e sulle sue
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capacità, chiese di vederlo col
pretesto di non voler passare così vicino al suo castello senza aver l'onore di fargli la riverenza. L'orco lo ricevette con tutta la civiltà di cui un orco è capace e lo fece accomodare.
« Mi hanno detto, » disse il Gatto, « che voi avete il dono di potervi mutare in qualsiasi specie di animale, e che, ad esempio,
potreste trasformarvi da un momento all'altro in un leone o addirittura in un elefante. È vero? »
« È proprio vero, » rispose brusco l'orco, « e, per dimostrarvelo, mi vedrete diventare un leone sull'istante. » II Gatto fu così atterrito di vedersi davanti un leone, che scappò subito sulle grondaie, non senza fatica e pericolo a causa
dei suoi stivali che per camminare sui tetti non valevano nulla.
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Dopo un po', visto che l'orco aveva ripreso
la sua forma, il prudente animale scese confessando di non aver mai provato tanta paura.
« Mi hanno anche detto, » continuò poi, « ma questo non lo credo davvero, che avete anche il potere di assumere la
forma degli animali più piccoli, di cambiarvi perfino in un sorcio; vi confesso che
questo mi sembra proprio impossibile. » « Impossibile? » gridò l'orco. « State a vedere. » E subito si mutò
in un topo mettendosi? correre per il pavimento. Allora il Gatto gli si gettò sopra e se lo mangiò.
Frattanto il re, che aveva visto il bel castello dell'orco, volle entrarvi. Il Gatto, al sentire il rumore della carrozza che varcava il ponte
levatoio, corse incontro alla comitiva inchinandosi profondamente al re: « Vostra Maestà sia la benvenuta
nel castello del signor marchese di Carabas, » disse. « Come,
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signor marchese, » esclamò il re, « questo
castello è vostro? Non c'è nulla di più bello di questa corte e degli edifici che la
circondano; guardiamo l'interno, se non vi dispiace. » II marchese diede la mano alla principessa e, al seguito del re,
entrarono nel salone, dove trovarono una magnifica colazione apprestata dall'orco per alcuni amici che non avevano
osato farsi avanti dopo aver visto entrare il re. Il quale, entusiasta non meno di sua figlia delle buone
qualità del signor marchese di Carabas, e vedendo le grandi ricchezze che possedeva, dopo aver bevuto cinque o sei bicchieri gli propose
addirittura: « Marchese, se volete diventare mio genero dipende solo da voi. »
II marchese, con una gran riverenza, accettò l'onore che gli faceva il re, e quel giorno stesso sposò
la principessa. Il Gatto divenne un gran signore, e in seguito, se corse appresso ai topi, fu solo per
divertimento.
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Morale della favola: Per quanto sian notevoli i vantaggi di avere fin dalla nascita ricchissimi appannaggi
via via di padre in figlio tramandati, per chi ha salute, audacia e giovinezza, un po' d'iniziativa e di
accortezza valgono più dei beni ereditati.
Fine
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