andava a caccia ogni mattina e aveva sempre una ragione pronta per scusarsi se restava fuori per due o tre giorni, cominciò a sospettare qualche cosa. Passarono intanto due anni, e dalle nozze del principe con la principessa nacquero due bambini: una femminuccia che fu chiamata Aurora, e un maschietto che fu chiamato Giorno perche era ancor più bello della sorellina. La regina cercò più volte di far parlare suo figlio, ma questi non osò mai confidarle il suo segreto. Sebbene l'amasse, egli la temeva perche ella era della razza delle orchesse e il re l'aveva sposata solo per le sue sterminate ricchezze. A corte si sussurrava perfino che non avesse perduto del tutto le tendenze degli orchi per cui, quando vedeva dei bambini, faticava molto a trattenersi dal divorarli.  Ma, due anni dopo, il re venne a morte, il principe gli successe e, sentendosi padrone di se, dichiarò pubblicamente il suo matrimonio andando a prendere, con grandi cerimonie, la regina sua moglie nel palazzo dov'ella era rimasta. La nuova regina fece così un magnifico ingresso nella capitale fra i suoi figli. Qualche lempo dopo, il re andò a far guerra al re di Cantalabutta suo vicino. Lasciò la reggenza alla regina madre e partì raccomandandole vivamente sua moglie e i suoi figli. Doveva stare in guerra tutta l'estate e, appena fu partito, la regina madre mandò la nuora e i nipotini nel castello di campagna, in mezzo al bosco, per poter portare a termine con tutti i comodi i suoi orribili disegni. Difatti, qualche giorno dopo, arrivò anche lei al castello, e una sera chiamò il maggiordomo e
gli disse: « Domani a colazione voglio mangiare la piccola Aurora. » « Oh, signora... » esclamò il maggiordomo. « La voglio! » ripetè la regina (e lo disse proprio col tono di un'orchessa che ha una gran voglia di mangiare carne fresca). « Voglio mangiarla in salsa piccante. » II pover'uomo, vedendo che c'era poco da scherzare, prese un coltellaccio e salì nella stanza della piccola Aurora, che aveva allora quattro anni. La bambina, quando lo vide, gli si gettò al collo saltellando e ridendo e gli chiese un cioccolatino. Lui si mise a piangere e si lasciò cader di mano il coltello; poi scese in corte, uccise un agnello e lo cucinò così bene e in una salsa così prelibata, che la sua padrona affermò di non aver mai mangiato nulla di tanto buono. Frattanto il maggiordomo aveva portato via la piccola 

Trovò il piccolo Giorno con uno spadino in mano


Aurora e l'aveva affidata a sua moglie perché la nascondesse nella sua abitazione, in fondo al cortile. Otto giorni dopo, la cattiva regina disse ancora al maggiordomo: « Voglio mangiare a cena il piccolo Giorno. » Lui non fece obiezioni: deciso a ingannarla come la volta precedente, andò in cerca del piccolo Giorno e lo trovò che, con uno spadino in mano, tirava di scherma con una scimmietta; eppure aveva tre anni soltanto. Lo portò da sua moglie, che lo nascose insieme alla piccola Aurora, e al suo posto imbandì un capretto tenerissimo che l'orchessa trovò squisito. Fino allora tutto era andato nel migliore dei modi, ma una bella sera la cattiva regina disse al maggiordomo: « Voglio mangiare la regina nella stessa salsetta in cui ho mangiato i suoi figliuoli. »
II povero maggiordomo si sentì proprio cader le braccia. La giovane regina aveva vent'anni passati, senza contare i cento in cui aveva dormito, e le sue carni, per quanto belle e bianche, dovevano essere durette. Come trovare nella fattoria una carne dello stesso tipo? Per salvar la propria pelle decise di tagliarle il collo e salì nelle sue stanze con l'intenzione di sbrigarsi senza pensarci sopra due volte. Cercò come poteva di mettersi in uno stato di sanguinario furore ed entrò tutto stravolto e col coltello brandito nella stanza della giovane regina.


Tuttavia non potè dimenticare di essere un maggiordomo molto compito e pieno di tatto, cosicché fece anzitutto un bell'inchino comunicandole poi rispettosamente l'ordine avuto dalla regina madre.
« Fate il vostro dovere, » rispose lei porgendo il collo, « eseguite pure l'ordine che avete ricevuto. Così andrò a ritrovare i miei bambini, i miei poveri bambini a cui ho voluto tanto bene. » Infatti, da quando glieli avevano tolti senza dirle nulla, essa li credeva morti. « No, no, signora, » rispose il povero maggiordomo tutto intenerito, « voi non morrete e andrete egualmente a rivedere i vostri figli, cioè a casa mia, dove li ho nascosti! Quano a me, ingannerò ancora la regina e le farò mangiare

La regina madre divorò la cerbiatta con grande appetito


una cerbiatta al vostro posto. » La condusse subito a casa sua e la lasciò là, tutta in lacrime per la gioia? e con i suoi bambini fra le braccia, andandosene dritto dritto a cucinare 'la. cerbiatta che la regina madre divorò con lo stesso appetito che se fosse stata la regina. Era contentissima di quegli orrori, e, in quanto a suo figlio, aveva già deciso di dirgli, quando fosse tornato, che un branco di lupi rabbiosi gli aveva sbranato la famiglia al completo. Una sera che, come al solito, gironzolava per la corte del palazzo in cerca di carne fresca, udì, in uno scantinato, il piccolo Giorno che piangeva perche era stato cattivo e la mamma voleva sculacciarlo; e udì anche la piccola Aurora intercedere per ilfratello. L'orchessa riconobbe subito la voce della regina e dei suoi figli e.. furiosa di essere stata ingannata, il mattino dopo comandò con voce terribile, tale da far tremare tutti i vetri del castello, che si portasse in mezzo al cortile un gran tino pieno di rospi, vipere e serpenti e che vi si gettassero dentro la regina, i suoi figli, il maggiordomo, sua moglie e la sua serva. Tutti quanti furono portati con le mani legate dietro la schiena. 
Eran lì in fila e i carnefici si preparavano a gettarli nel tino quando, inaspettatamente, il re entrò a cavallo nel cortile: era arrivato di gran carriera e subito domandò che cosa significasse quell'orribile spettacolo. Nessuno aveva il coraggio di dirglielo, ma a un tratto l'orchessa, disperata, si gettò da sola a capofitto nel tino e in un attimo fu divorata da tutte le bestiacce che vi aveva fatto mettere. Il rè ci rimase male perche in fondo era sua madre, ma non tardò a consolarsi con la sua leggiadra consorte e i suoi bei bambini.


Morale della favola:
Aspettar con pazienza per avere uno sposo ricco, ben fatto, tenero e amoroso, è giusto e può evitare molti affanni: ma attenderlo dormendo per cent'anni, ahimè, non c'è gran dama ne fantesca che oggidì ci riesca. Inoltre, salvo error, la fiaba dice che, a differir le nozze, una fanciulla si troverà assai spesso più felice e non ci perde nulla. Ma i giovani, di solito, con tale e tanto ardore aspirano alla fede coniugale, che proprio non ho animo ne cuore di predicare lor questa morale.

Fine    


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